CAPITALE & LAVORO

Operatori precari e spesso malpagati Ecco l'inchiesta

TERZO SETTORE
TORBIDONI GIULIA,

Giovani. Laureati. Stimolati. Sottopagati. Questa la fotografia dei lavoratori del terzo settore, scattata dall'inchiesta sul lavoro sociale «Voci e volti del welfare invisibile». I risultati non lasciano dubbi: il terzo settore è un mondo di vitalità e passione, ma lo si sta demolendo. «Si lancia un grido di allarme» dice Lucio Babolin, uno dei promotori dell'indagine e presidente del Cnca (Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza).
L'indagine è partita il 10 marzo e ha coinvolto più di 250 mila operatori. Le risposte alle 30 domande del questionario hanno fatto luce non solo sulle condizioni contrattuali e salariali dei lavoratori, ma anche sulle loro sensazioni e proposte per migliorare lo stato attuale del settore.
Assistenti sociali, educatori professionali, sociologi, psicologi, pedagogisti, operatori impegnati nell'inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati e nei servizi alle persone. Queste sono alcune figure professionali del sociale in cui lavorano 700 mila persone, in maggioranza donne (65%). Il 45% degli intervistati non ha ancora 36 anni e il 43% ne ha meno di 50. Oltre la metà ha una laurea, ma il 66% prende meno di 1.200 euro al mese e il 23% tra gli 800 e i 1.000; il 61% ha un contratto a tempo indeterminato e il restante 39% è precario. I 3/4 dei lavoratori pensano che i propri diritti non siano rispettati, ma è stimolato e soddisfatto dell'organizzazione in cui lavora.
Chi lavora nel sociale lo ha scelto. Nonostante tutto. E con il suo lavoro si sente parte, nel 25% dei casi, di una trasformazione sociale e politica. «Per qualsiasi altro settore che dimostrasse questa vitalità si farebbero salti mortali per sostenerlo - dice il sociologo Roberto Latella - e invece si distrugge il welfare». Nelle politiche sociali l'Italia investe meno della media europea, ma il governo continua a tagliare: con la manovra finanziaria triennale si toglieranno al fondo per le politiche sociali 3,5 miliardi di euro. «Senza investimenti non ci può essere attenzione alla qualità del lavoro e delle professionalità. Inoltre non c'è chiarezza nel definire le figure professionali e questo danneggia operatori e utenti» dicono i promotori dell'inchiesta. I lavoratori, quindi, chiedono di aumentare la spesa fino alla soglia europea e di definire i livelli essenziali di assistenza sociale, come nella sanità, che vanno garantiti sempre perché sono un diritto e non un bisogno delle persone. Un'altra mancanza è la collaborazione tra terzo settore ed ente pubblico, accusato di ritardare troppo spesso il flusso dei pagamenti alle cooperative, creando dei disagi.
Rimane il grande divario tra nord e sud del paese. «Risale al 1977 quando il governo decise di separare i livelli di spesa pro-capite. Si considerò il numero di abitanti e il passato delle regioni: al nord si spendeva già per il sociale, ma non al sud. Il federalismo fiscale, ora, non farebbe che accentuare questo divario tra regioni e lacererà il lavoro sociale».

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it