Da più di un quarto di secolo Paolo Galluzzi dirige l'Istituto Museo di Storia della Scienza, una delle rare istituzioni culturali che nel nostro paese abbia saputo affrontare con efficacia le sfide della modernità, punto di riferimento essenziale per chi, in ogni angolo del mondo, si interessi a Galileo e alla sua storia. Al museo vero e proprio, in cui si conservano molti importanti cimeli del grande scienziato (tra questi i suoi primi telescopi), si affianca una biblioteca che possiede la collezione storiografica più importante del mondo sul caso Galileo, oltre a un sito web specializzato e a una collezione di opere digitali che non ha eguali in Italia e che si deve in grande misura proprio all'energia di Galluzzi.
Dal palazzo del Lungarno in cui ha sede l'Imss si intravede la collina di Arcetri, luogo del «continuato carcere ed esilio dalla città» cui la condanna della Chiesa aveva costretto lo scienziato toscano, umiliandolo ma non domandone le energie intellettuali. Proprio ad Arcetri infatti Galileo scrisse una delle sue opere maggiori, i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, che riuscì a far pubblicare nel 1638 eludendo le proibizioni ecclesiastiche. E a Galluzzi, osservatore privilegiato della vicenda galileiana, rivolgiamo dunque alcune domande sul convegno internazionale «Il 'caso Galileo'. Una rilettura storica, filosofica, teologica» organizzato dall'Istituto Stensen, che si inaugura oggi a Firenze alla presenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Professor Galluzzi, lei ha più volte espresso giudizi critici sul modo spesso tortuoso in cui la Chiesa ha affrontato, anche in tempi recenti, la vicenda di Galileo, a dispetto di proclami ufficiali di revisione e di autocritica. Come valuta il fatto che il convegno di Firenze sul «caso Galileo» sia organizzato da una istituzione religiosa di matrice cattolica?
Il programma del convegno e l'elenco dei partecipanti fanno subito capire che si tratta di un'iniziativa di approfondimento storico-scientifico del caso Galileo. La presenza nel comitato istituzionale di un gruppo nutrito di istituzioni culturali di prestigio garantisce questo carattere dell'iniziativa. Che sia stato l'Istituto Stensen, diretto da un gesuita, a promuovere il convegno è cosa che apprezzo sinceramente. I lavori del convegno porteranno di certo nuovi elementi utili alla ricostruzione e alla comprensione di complessi aspetti della vicenda. Se poi tutto questo metterà in moto l'auspicato riesame sincero del caso Galileo da parte della cultura cattolica ufficiale, è una cosa che personalmente mi auguro, ma che non posso prevedere.
La Chiesa, apparentemente in prima linea contro il «relativismo culturale», in nome di sue verità immutabili, fa spesso riferimento, in relazione al caso Galileo, ad autori appartenenti a questa area culturale, autori di scarso credito nella comunità degli storici e in particolare degli studiosi galileiani (lei ha fatto i nomi dei tedeschi Brandmüller e Greipel, ma si potrebbero citare diversi italiani (e non solo), alcuni dei quali molto in vista, soprattutto nel mondo dei media). Qual è dunque il suo parere sulla significativa «convergenza parallela» verificatasi storicamente tra posizioni della Chiesa verso Galileo e certi atteggiamenti antiscientifici della cultura moderna, più o meno venati di irrazionalismo e di relativismo culturale?
Per complesse ragioni storiche, la cultura moderna, soprattutto a partire dal primo Novecento, ha accusato la scienza di proporre una visione fredda e spersonalizzante del mondo, che poco risponderebbe a certe pulsioni fondamentali dell'uomo nei suoi rapporti con il reale. Galileo, grande protagonista del processo che ha portato alla nascita della scienza moderna e alla matematizzazione della fisica, è diventato, per schiere di filosofi, scrittori, artisti, il simbolo di questa scienza oggettiva e «disumana» (basti pensare a Husserl e Koestler, e in parte a Brecht). Molte e diverse le accuse rivoltegli, tutte poco fondate su una analisi storica approfondita della sua opera. Inoltre, alcune filosofie moderne fanno riferimento a visioni consolatorie della realtà umana, che certo trovano poca corrispondenza nel pensiero galileiano, un pensiero che indubbiamente non offre all'uomo visioni immediatamente rassicuranti. Per Galileo, l'uomo non solo non è collocato più al centro dell'Universo ma non è neppure il fine ultimo del creato, l'essere verso cui tutto tende e per cui tutto è stato creato (Leopardi svilupperà in senso decisamente pessimistico questo aspetto del pensiero galileiano). La Chiesa, che propone una visione del mondo basata su una posizione di assoluto privilegio dell'uomo nel disegno salvifico di Dio, si è trovata di fatto più vicina a visioni filosofiche consolatorie e declinanti verso l'irrazionale (a dispetto spesso della loro irreligiosità), che al razionalismo culturale di impronta galileiana. E spesso, nei suoi atteggiamenti apologetici, ne ha sfruttato le argomentazioni.
Tra le argomentazioni di inizio Novecento a cui la Chiesa ha attinto vi sono anche quelle riprese da Giovanni Paolo II nel discorso conclusivo dei lavori della Commissione da lui creata nel 1979 per il riesame del caso Galileo.
Il Papa ribadì allora che Galileo era stato condannato perché non aveva fornito prove sufficienti del sistema copernicano (e la Chiesa giustificava e di fatto assolveva così i suoi esponenti dalle responsabilità nella condanna). Concedeva però allo scienziato pisano il merito di essere stato miglior teologo dei teologi di allora. Questo perché, dichiarando che la Bibbia non è scritta per offrire una visione scientifica del mondo, ma per indicare la via della salvezza dell'uomo, avrebbe precorso l'ermeneutica biblica moderna («la Bibbia - aveva detto Galileo- insegna Come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo»). Quella di Galileo migliore teologo che epistemologo (con, dall'altra parte, Bellarmino ottimo epistemologo ma teologo meno perspicuo) è un paradosso che la Commissione Galileiana ha ripreso opportunisticamente da Pierre Duhem, e che poco resiste all'analisi critica. Mi preme qui solo sottolineare che gli atti del processo Galileo mostrano come i giudici di allora non presero per nulla in esame il problema della validità scientifica della visione copernicana sostenuta da Galileo. L'unica direttiva a cui si fece riferimento fu l'autorità assoluta di verità che la Chiesa pretendeva di avere in ogni campo, e il conseguente diritto che si arrogava di condannare, anche nel modo più tragico, chiunque dissentisse dalle sue vedute.
Un caso Galileo, inteso non come avvenimento storico, ma come espressione di tensione tra due diverse visioni del mondo, potrebbe a suo avviso ancora verificarsi?
Sì certamente, e si è difatti verificato tra Cinque e Seicento, quando le scienze geologiche proponevano un'età della Terra smisuratamente più grande dei circa seimila anni desunti dai computi delle vite dei patriarchi biblici, e in seguito con Darwin. Ed è sempre in agguato, sebbene adesso la Chiesa delimiti la sfera in cui si ritiene depositaria di verità assolute alle problematiche morali. Molto spesso però aspetti della ricerca scientifica vengono ritenuti ricchi di implicazioni etiche e questo è fonte di conflitti potenziali tra la Chiesa e il mondo della scienza (e altri settori della società). La cultura laica ha elaborato anch'essa sistemi di valori etici (grandi pensatori l'hanno fatto nel corso dei secoli), ma questi, sottoposti alla storicità, mutano ed evolvono in rapporto alle profonde trasformazioni storiche e geografiche delle società, a differenza di quanto la Chiesa pretende - almeno in linea di principio- per le proprie concezioni in materia. A proposito di questo conflitto possibile che esiste ed esisterà forse sempre, la mia opinione personale è che si debba adottare una posizione per cui, se da una parte non si deve cercare necessariamente lo scontro tra le due visioni, neppure si deve considerare necessariamente negativo il suo verificarsi.
Per concludere, l'idea che Galileo abbia spoeticizzato l'universo con la sua visione freddamente matematica le sembra suffragata dall'analisi dell'opera del grande scienziato?
Chi ha la fortuna di leggere Galileo trova a volte pagine bellissime ricche di profonde emozioni umane, di meraviglia, di vera poesia. Galileo amava il mondo, la vita, la letteratura, l'arte, i piccoli e grandi piaceri della vita, aveva un senso profondo dell'amicizia. Chi lo accusa di aver tolto dal mondo la poesia, in molti casi mostra che Galileo non solo non l'ha capito, ma spesso non l'ha neppure letto.