In un paese che elegge ripetutamente Gabriella Carlucci, discute del curriculum di Barbara Matera e si appassiona al possibile divorzio di Silvio Berlusconi arriva a proposito la sceneggiatura scritta da Michael Herr su Walter Winchell, uno dei primi creatori delle rubriche di pettegolezzi sui quotidiani americani (Mr. Winchell. La voce dell'America, Alet, traduzione di Laura Bussotti, pp 192, euro 17,50). Herr, autore di uno dei più riusciti romanzi sulla guerra in Vietnam, Dispacci, scrisse la sceneggiatura per la Mgm più di vent'anni fa ma il film non si fece e il testo uscì come biografia romanzata del ragazzino ebreo di Harlem (vero nome Chaim Weinschel) diventato ricco e celebre con il suo show radiofonico.
Un attore di vaudeville
Winchell, nato nel 1897, è un intrattenitore fallito. Il suo numero assieme alla moglie Rita Green ha ben poco successo nei teatri di vaudeville dove sfilano contorsionisti, nani, ballerini di tip-tap e soubrette con più gambe che voce. I Roaring Twenties, gli anni Venti degli speakeasy (c'è il proibizionismo e l'alcool viene venduto sottobanco), del charleston, delle delle gonne corte e delle pettinature «alla maschietta» finiscono nel crack di Wall Street dell'ottobre 1929 ma nel frattempo è nato il culto della celebrità: sugli schermi del cinema compaiono Rodolfo Valentino, Myrna Loy e Greta Garbo. Attori e attrici diventano icone adorate da milioni di persone, un paese ancora agricolo fatto di città e villaggi dalla cupa atmosfera provinciale scopre il lusso e il fascino di New York e di Hollywood. Lo Star System, per affermarsi, ha bisogno di un flusso continuo di notizie, un torrente di indiscrezioni, pettegolezzi, commenti e litigi veri o fasulli che tengano sempre alta l'attenzione del pubblico. Se ne incaricano Louella Parsons, che nel 1922 inizia a scrivere per il New York American del gruppo Hearst, Walter Winchell, che nel 1925 «copre» Broadway per il New York Graphic e, più tardi, Hedda Hopper, che scriverà sul Los Angeles Times. Come dice Winchell in un dialogo del libro di Herr, «So chi ha perso la testa per chi, chi va a letto con chi, chi ce l'ha con chi, chi ruba le idee a chi. So chi beve troppo, chi non beve abbastanza, chi gioca... So tutto quello che il pubblico non sa di questo ambiente». Il «chi va a letto con chi» in pochi anni diventa un'industria, la rubrica di Winchell o quella della Parsons vengono pubblicate da centinaia di giornali, i due diventano delle potenze. Francesco Trento, nell'introduzione al libro di Herr, scrive: «Una sua recensione negativa può affondare uno spettacolo. Una positiva, salvarlo. Un suo articolo ha il potere di chiudere una carriera politica, o favorirla. Una sua sola riga può far saltare in aria il più solido dei matrimoni». C'è parecchia esagerazione in questo (soprattutto per quanto riguarda la politica) ma è vero che la cultura della celebrità produce improvvise fortune e rapidi crolli, a cui le rubriche di gossip contribuiscono.
Winchell diventa ricco e famoso grazie alla radio dove si impone grazie all'esperienza della stand-up comedy: battute fulminee, un ritmo di discorso frenetico, neologismi immediatamente comprensibili per il pubblico che danno originalità alla trasmissione. Il suo esordio è sempre lo stesso: «Mr. and Mrs. America, e tutti i naviganti, qui Walter Winchell». Ed è proprio alla radio, il medium che domina gli anni Trenta, che l'ex attore di vaudeville comincia la sua campagna contro i nazisti.
Demagoghi in libertà
Pearl Harbour ha lasciato nella memoria collettiva europea l'immagine di un paese da sempre antifascista, terra di asilo per intellettuali e artisti ebrei in fuga dal nazismo, ma si tratta di una versione riveduta e corretta della realtà. La grande depressione iniziata nel 1929 non guarisce affatto sotto il tocco magico di Franklin Delano Roosevelt, che entra in carica nel 1933: al contrario la disoccupazione rimane elevatissima per tutto il decennio e con essa fioriscono movimenti politici isolazionisti e antisemiti. La popolarità radiofonica di Winchell, per esempio, impallidisce di fronte al seguito di padre Coughlin, un prete cattolico canadese che negli anni Venti si trasferisce a Detroit e dalla sua parrocchia di Little Flower (S. Teresa di Lisieux) conquista decine di milioni di ascoltatori. Inizialmente entusiasta di Roosevelt e del New Deal, a partire dal 1936 Coughlin si sposta su posizioni populiste di destra, attaccando i «banchieri ebrei», sostenendo Hitler e Mussolini e creando perfino un proprio partito, lo Union Party, che ebbe vita breve ma ottenne il 2 per cento dei voti alle presidenziali del 1936.
Coughlin, che verrà messo a tacere dal Vaticano solo dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, non è certo l'unico demagogo dell'epoca: l'aviatore Charles Lindbergh aveva simpatie per il regime tedesco, e così Henry Ford, il fondatore dell'omonimo impero dell'auto, mentre un folto gruppo di senatori del West, tra cui Burton Wheeler del Montana e William Borah dell'Idaho, si opponevano a ogni progetto di riarmo o di sostegno dell'Inghilterra contro Hitler. La storia di una ipotetica vittoria di Lindbergh contro Roosevelt alle elezioni del 1940 è stata raccontata dal romanziere Philip Roth nel suo libro Il complotto contro l'America. Meno visibile di quello europeo, l'antisemitismo negli Strati Uniti è comunque reale.
Winchell, accusato di essere un «guerrafondaio» e invitato a occuparsi di spettacolo, risponde per le rime: «Penserò solo a Broadway quando la classe politica da noi eletta penserà solo a difendere i nostri diritti e proteggere il nostro paese».
Gli anni della guerra sono forse i migliori per Winchell, che diventa un personaggio dalla vita notturna di New York: ospite fisso dello Stork Club di Sherman Billingsley, il giornalista si compiace dei suoi contatti ad alto livello (è amico di Edgar Hoover, il capo dell'Fbi) e della sua onnipotenza nel mondo dello spettacolo. Si mostra con Hedy Lamarr e con decine di altre giovani che sognano le luci della ribalta, cena con scrittori come Ernest Hemingway e Damon Runyon (del quale ha imitato lo stile asciutto, quasi telegrafico), guarda dall'alto in basso i colleghi della radio che non raggiungono audience pari alle sue.
Dimenticato da tutti
Ferocemente nazionalista, dopo la guerra Winchell sostiene il senatore McCarthy nella sua caccia alle streghe, applaude la condanna a morte dei coniugi Rosenberg per spionaggio, rompe con quasi tutti i vecchi amici, è protagonista di una guerra giornalistica e legale con il New York Post (allora il quotidiano più progressista e coraggioso di Manhattan) che dura per tutti gli anni Cinquanta. Tenta di trasferire il suo programma radiofonico in televisione ma lì fallisce. Il piccolo schermo è inadatto alle grandi voci della radio e Winchell appare bizzoso, invecchiato, per nulla credibile: il programma verrà cancellato quasi subito, lasciandogli solo la rubrica su un quotidiano minore, il Journal-American.
Il declino è rapido e crudele, aggravato dal suicidio del figlio nel 1968 e dai problemi della moglie, alcolizzata. Nel 1972, Walter Winchell muore dimenticato da tutti, come Damon Runyon, amico fedele e lucido morto qualche anno prima, aveva profetizzato. Lui stesso, del resto, aveva così descritto la sua professione: «Nessuno si fida di te, la tua famiglia ti odia, ci rimetti la salute e se alla fine ti è rimasto anche un solo amico, è un miracolo. Vai a fare il giornalista!». Gli sopravvive una cultura che mescola incessantemente politica e spettacolo, pettegolezzi e voyeurismo. Un attore di film di serie B, Arnold Schwarzenegger, viene eletto governatore della California, un politico rispettato come Eliot Spitzer viene costretto alle dimissioni da governatore di New York per aver frequentato una squillo di Washington.
Le campagne per la presidenza, ogni quattro anni, si trasformano in un circo Barnum dove i candidati sono vivisezionati alla ricerca di vizi nascosti, peccati di gioventù, adulteri imprudenti come quelli che sono costati la carriera al deputato Vito Fossella (un repubblicano gran difensore dei «valori familiari») e all'ex candidato democratico John Edwards.
Viene da chiedersi, però, se questa cultura è davvero così pervasiva e dominante come le vicende americane e italiane farebbero pensare. Davvero il gossip è ormai l'unico orizzonte della politica? L'elezione di Barack Obama, un candidato che ha parlato incessantemente di politica durante le elezioni del 2008 fa pensare che gli attacchi personali non sono più l'arma atomica delle campagne per la presidenza. I tentativi di McCain e Palin di appiccicare ad Obama l'etichetta di «amico dei terroristi» hanno fatto flop (anche se il prudentissimo candidato democratico non ha fatto che esibire la sua famigliola felice come garanzia di «normalità» per tutto il 2008).
In realtà, già nel 1998, i cittadini intervistati sull'isteria dei giornali e delle televisioni per lo scandalo Clinton-Lewinsky rispondevano a larga maggioranza (58 per cento) che i media «stavano esagerando». Il sostegno femminile a Clinton non venne mai meno durante tutta la durata dell'affaire, prova non solo dell'abilità del presidente e dell'importanza determinante del sostegno di Hillary ma anche del fatto che una sfera pubblica vitale non si rassegna alla cancellazione dei confini tra pubblico e privato e all'uso delle armi di distrazione di massa.
Forse, invece di guardare sconsolati le prime pagine riempite dal duello Silvio-Veronica, dovremmo chiederci cosa possiamo fare per rivitalizzare la sfera pubblica in Italia, come riportare la discussione politica lontano dalle alcove e vicina alle buste paga.