«Le espressioni colorite e immaginifiche usate non possono ritenersi sufficienti a giustificare il licenziamento\». Con questa motivazione il giudice Emilio Pocci ha ordinato ieri il reintegro nel posto di lavoro di Guerriero Rossi: l'operaio della Tod's di Diego Della Valle (nella foto), delegato Filtea Cgil e membro della Rsu, era stato licenziato il 13 marzo per aver scritto una lettera, definita «minacciosa e offensiva», al titolare dell'azienda.
L'anno scorso, invece di trattare con i sindacati del contratto integrativo, Della Valle stabilì che era meglio elargire un bonus di 116 euro ai suoi dipendenti: l'«aumento» gli eliminava l'intralcio dei negoziati sindacali. Ma a gennaio, il «signore delle scarpe» fece dietro-front e decise di togliere quei soldi dagli stipendi. Il 17 febbraio, nuovo ripensamento: nello stabilimento di Comunanza, in provincia di Ascoli Piceno, ha tirato di nuovo fuori il bonus. Gli operai, però, per ricevere la manna del padrone avrebbero dovuto firmare una liberatoria. E l'hanno firmata tutti. Tranne Guerriero, che ha siglato un'altra lettera: quella che ha indirizzato al presidente Della Valle. Rispondendo così alle «minacciose affermazioni» del padrone («io non ho bisogno di voi») e al suo comportamento da proprietario dello stabilimento e delle persone che vi lavorano. E quale replica migliore se non un richiamo all'umiltà? Perché «anche tu morirai, come noi».
Se la morte è un dato di fatto per gli operai, non lo è per i padroni: Della Valle ha infatti scambiato il richiamo alla caducità della vita, uguale per tutti, per una minaccia e ha cacciato l'operaio irrispettoso. Ora deve reintegrarlo e pagargli gli arretrati.
I capitani d'impresa tendono a credersi immortali: qualcuno, a volte, ricorda loro che non è proprio così.