CAPITALE & LAVORO

Nokia, preoccupazione per 800 posti

LA RICERCA SARA' DELOCALIZZATA
TORBIDONI GIULIA

Sono «le regole del mercato». Secondo una multinazionale come la Nokia Siemens questa semplice spiegazione (inviata ai dipendenti anche tramite posta elettronica) dovrebbe bastare ai lavoratori per capire le ragioni della perdita del loro posto. Giovedì scorso, circa 800 lavoratori e lavoratrici della Nokia Siemens Networks (Nsn) di Cinisello Balsamo e Cassina de' Pecchi, cittadine alle porte di Milano, hanno protestato contro il progetto dell'azienda di delocalizzare verso l'estero i settori della ricerca, dello sviluppo e della progettazione di telecomunicazioni di nuova generazione. I lavoratori che rischiano il posto di lavoro sono più di 800 tra ricercatori dipendenti (600) e consulenti (250).
Tre anni fa la Siemens decise di liberarsi del settore delle comunicazioni che controllava: la produzione, che si fa nello stabilimento di Cassina de' Pecchi, venne ceduta alla Jabil; Nokia si prese la ricerca e il service, che si fanno a Cinisello Balsamo. Dal momento che il 50% della produzione di Nokia è in Cina e India, la multinazionale finno-tedesca ha deciso di trasferire in quei paesi anche i settori di ricerca e sviluppo. Alcuni tipi di prodotti, come l'Lpe (sistema di codifica voce), verranno portati in Germania e in Finlandia, dove l'azienda ha altri laboratori. In Italia si eliminano i settori competenza e qualità e si manterrà solo l'aggiornamento dei Gsm, con il rischio che, quando questi prodotti saranno oltrepassati, il mercato compirà la sua selezione naturale sui lavoratori.
La multinazionale sta invitando i dipendenti a lasciare il posto di lavoro con un incentivo economico senza ricordarsi che, sotto il governo Prodi, si era fatta garante di mantenere in Italia la produzione, la ricerca e il service. La manifestazione di giovedì scorso, che - annunciano i sindacati - non sarà l'unica se Nokia andrà avanti per la sua strada, ha due scopi: chiedere all'azienda di rispettare gli impegni presi allora e richiamare l'attuale governo a farsi garante di quegli accordi.

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