TERRITORI

Se gli orizzonti SONO MENO STRETTI

altra italia - UNA REDAZIONE TRA LE SBARRE
NISIVOCCIA NICCOLO,PADOVA

Ornella mi sta già aspettando, il mio treno è arrivato in ritardo; usciamo nella piazza assolatissima davanti alla stazione e ci incamminiamo verso un bar, abbiamo circa un'ora prima di andare in carcere. Ornella è Ornella Favero ed è la fondatrice e il direttore di Ristretti Orizzonti: «Periodico di informazione e cultura dal Carcere Due Palazzi di Padova», nella cui redazione composta esclusivamente da detenuti oggi sono stato autorizzato ad entrare. Ornella è stata insegnante di russo, traduttrice, giornalista; ha una foltissima chioma di capelli castani che quasi le arrivano sugli occhi ed è all'evidenza una donna forte. Ma ha molte sfumature dolci, capisci quasi subito parlandoci; ed è appassionata, e colta.
Seduti al bar, le dico che quello che mi piacerebbe è assistere ad una vera riunione di redazione ed essere come il non veduto del racconto di Singer, che tutto osserva senza essere visto; vorrei che tutto si svolgesse come se io non ci fossi e vorrei solo ascoltare, senza inquinare. Ristretti Orizzonti è una rivista bellissima, ed è davvero una rivista «di informazione e cultura». Naturalmente la giustizia e la pena sono i temi d'elezione, ma forse non esistono temi più assoluti: parlare di questi temi vuol dire infatti parlare del mondo, e capire che il bene non può essere nettamente distinto dal male, che tutti siamo capaci dell'uno come dell'altro e che nessuno può essere ridotto all'uno o all'altro una volta per sempre. Non siamo mai solo quello che facciamo, e può essere un soffio di vento a fare la differenza fra il compiere un gesto e il non compierlo. Ma ammetterlo impone intransigenza e sincerità verso se stessi e richiede dunque grande libertà di pensiero, proprio quella che lascia il segno più di ogni altra cosa nella lettura dei numeri di Ristretti Orizzonti. Quello che mi piacerebbe allora è capire come nascano e prendano forma pensieri così liberi nella più tipica delle istituzioni totali, cioè nel più tipico dei luoghi di privazione delle libertà.
Ornella mi spiega che per accedere alla redazione bisogna presentare la cosiddetta domandina alla direzione del carcere, ma poi viene ammesso solo chi ha seriamente voglia di impegnarsi; che le riunioni si tengono ogni giorno, dall'una e mezza alle tre e mezza del pomeriggio, e chi vi prende parte ha rinunciato per anni all'ora d'aria, prevista solo in quello stesso frangente della giornata; e che dopo le tre e mezza non sono più previste attività sociali di nessun tipo, dopo la riunione ciascuno torna nella propria cella. La redazione ha anche una sua proiezione esterna, perché da qualche anno ha instaurato un intensissimo rapporto di collaborazione con scuole medie inferiori e superiori di Padova e provincia: quasi cento incontri solo quest'anno scolastico, che significa poco meno di un incontro ogni due giorni. Il programma di collaborazione prevede almeno due incontri con ogni classe, uno a scuola e l'altro in carcere; e l'obiettivo consiste nell'offrire a giovani e giovanissimi la possibilità di aprire sul reato uno sguardo diverso, ripulito dalle opinioni mediatiche. Esporre senza schermi la propria nuda persona, disporsi al racconto di sé e della propria storia ma pure all'ascolto delle paure altrui: è questa la forma probabilmente più seria di prevenzione che sia possibile immaginare, ed è questo dichiaratamente il fine ultimo del lavoro svolto quotidianamente da Ristretti Orizzonti, che proprio sul tema della prevenzione sta organizzando un convegno che avrà luogo nella palestra del carcere il 22 maggio («Prevenire è meglio che imprigionare»).
Intanto è arrivato il momento di andare, Lucia è venuta a prenderci (Lucia è Lucia Faggion ed è una volontaria, assidua frequentatrice di Ristretti Orizzonti). Il carcere di Padova non è nel centro della città, e lo raggiungiamo in macchina in dieci minuti. Davanti all'ingresso ci incontriamo con Elena Baccarin (la quale a sua volta è da un po' di tempo una presenza pressoché stabile della redazione pur senza esserne parte integrante, come anche Silvia Giralucci, che oggi però non c'è: entrambe sono vittime di reati ed entrambe, attraverso la partecipazione alla rivista, hanno trasformato le proprie esperienze in un'occasione di apertura dialogante proprio verso persone che di reati anche simili a quelli da loro subìti sono state autori). Il tempo di superare i controlli e tutti i cancelli e siamo nella redazione, che è fatta di due stanze grandi e di un lungo tavolo e nella quale vengo accolto calorosamente. Ornella mi presenta e la riunione comincia: l'argomento all'ordine del giorno è l'incontro avvenuto nei giorni scorsi con alcuni studenti.
Intorno al tavolo siamo in tanti, e qualcuno sta in piedi. Ornella siede a capotavola, di fianco Elton Kalica e Marino Occhipinti; io sto su un lato, fra Marco Libietti e Daniele Barosco alla mia destra e Lucia alla mia sinistra, e appena più in là Milan Grgic e Serghey Vitali; di fronte a me, Gentian Germani, Prince Maxwho Obayangbon e Maher Gdoura. Poi via via gli altri, fino al lato opposto a quello di Ornella, dove siedono Said Kamel e Franco Garaffoni. Insomma, siamo un gruppo molto misto; degli stranieri, alcuni parlano italiano benissimo mentre altri meno bene, ma c'è comunque una cosa che noto immediatamente, ed è che a tutti è concesso il tempo di parlare con calma, non c'è quell'ansia che impedisce di ascoltarsi. Qui a tutti sono concesse addirittura delle pause di silenzio se occorrono e nessuno mai ne approfitta per infilarcisi e sovrapporvisi: le pause non sono debolezze o indecisioni da sfruttare a proprio vantaggio ma elementi costitutivi del ragionamento, come si conviene; e chi vuole intervenire deve prenotarsi alzando la mano.
Il discorso è già entrato nel vivo a cominciare dal primo intervento, che è stato di Marco, critico nei confronti di una certa tendenza ad eludere le domande degli studenti sulle ragioni della commissione di un reato: domande tipiche e spesso identiche perfino nella loro formulazione letterale («ma non potevi pensarci prima?»), che secondo Marco chiamano ad una precisa assunzione di responsabilità la mancanza della quale rappresenta una forma di mancato rispetto innanzitutto verso se stessi. Le parole di Marco toccano nervi sensibili, e non potrebbe essere altrimenti perché è questo il succo di ogni questione, qui dentro: la piena assunzione di responsabilità verso se stessi e verso gli altri. Non mi stupisce quindi che tutti vogliano dire la loro: alcuni dicono la difficoltà di trovare le parole appropriate da parte di chi parla lingue straniere, e la difficoltà di controllare l'emozione quando ci si racconta comune a tutti; Prince contesta che chi commette un reato sappia sempre e per forza quel che sta facendo, perché il «relativismo culturale» di cui parlano gli «studi antropologici» insegna che spesso fatti considerati come illeciti secondo una cultura non lo sono secondo un'altra; altri aggiungono che è il racconto della propria storia a valere aldilà di tutto, e nessuno ha motivi per mentire o per cambiarla; Marino concorda che sì, la propria storia non si cambia ma c'è modo e modo di raccontarla, e suggerisce di scriverla prima di raccontarla, perché scrivere aiuta a pensare, ad asciugare dal superfluo, ad evitare equivoci.
Io ascolto, e mi sembra che stia succedendo quello che speravo, che la mia presenza sia quasi assenza; e mentre la riunione sembra svolgersi come se io non ci fossi, un'altra cosa m'impressiona potentemente come una rivelazione: è la ricerca calibratissima da parte di tutti delle parole più adatte, la loro evocazione dal profondo, un amore per l'esattezza delle cose solo attraverso la quale la realtà può essere detta. Non esiste realtà senza parole, ci ricorda un verso di Biagio Marin; ma occorre aggiungere: non esiste realtà senza parole precise, senza le quali la realtà diventa manipolazione, malinteso, ipocrisia. Ed è un'esattezza delle cose, quella di cui gli interventi che intanto continuo ad ascoltare sono capaci, che arriva a vette quasi metafisiche eppure concretissime, come quando Said - che Marino ha delicatamente rimproverato d'aver abusato d'immagini cruente nella descrizione dell'accoltellamento di cui era stato protagonista - si difende affermando che quella del sangue non era un'immagine del racconto, ma ne era la verità stessa, perché dopo la prima coltellata non c'erano più facce davanti a lui, ma solo sangue; e basterebbe questo a spiegare plausibilmente le ragioni di qualunque reato: il non saper più distinguere e riconoscere, anche solo per un baleno, chi e cosa ci sta davanti e quali saranno le conseguenze delle nostre azioni.
Credo che questa attribuzione a cose e parole del loro giusto peso e valore sia già una forma molto alta di assunzione di responsabilità, capace di spiegare anche il suo contrario: cioè l'irresponsabilità della nostra epoca, contraddistinta da un totale disinteresse per la semantica del mondo, sempre di corsa e privi di tempo come diciamo di essere. Ma l'irresponsabilità genera sentimenti retrivi, catene d'odio; e forse allora intuisco come nascono e prendono forma i liberi pensieri di Ristretti Orizzonti: attraverso un recupero di spazi e tempi smarriti, qui invece recuperati per tenace volontà di ciascuno - tempi per capire e spazi per includere, in una dimensione di narrazione collettiva e dialogica di se stessi. È probabilmente in questa volontà il tratto più qualificante della rivista: in una volontà senza la quale non sarebbero possibili riunioni come questa cui sto finendo di assistere, così aperte a qualsiasi pensiero; e senza la quale sarebbe addirittura scandalosa la presenza così discreta e così discretamente accolta di una vittima come Elena (o come Silvia Giralucci).
Ma anche qui come ovunque e come sempre il tempo è limitato, pur essendocene in abbondanza: sono le tre e mezza, e gli agenti impongono la chiusura. Ci salutiamo, ripromettendoci di rivederci il 22 maggio, al convegno.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it