Chissà se la signora tunisina e quella romena si sono incontrate, la scorsa settimana a Roma, nel centro di Ponte Galeria, prima che giovedì l'una si suicidasse, dopo aver annunciato che se rimpatriata si sarebbe ammazzata e l'altra venisse espulsa, perché «mai registrata all'anagrafe e senza alcun mezzo di sostentamento al di fuori della prostituzione» (cito parole del sindaco di Roma). Chissà se si sono guardate, se si sono parlate, o almeno se hanno tentato di raccontarsi con gli occhi le loro angosce, le loro paure.
Due storie di ordinaria applicazione della norme sulla sicurezza e sull'immigrazione, eppure due ferite ai diritti civili e alla nostra umanità, due tagli netti nel nostro rapporto con le comunità straniere, due tragedie umane che devastano l'immagine internazionale di una Roma capitale aperta, civile e democratica. Sulla prima tutti si dicono colpiti, la seconda dalla destra viene incassata come il risultato di una politica finalmente efficace.
Le congratulazioni del sindaco di Roma alle forze dell'ordine per l'avvenuto primo rimpatrio di una cittadina romena dedita alla prostituzione rendono evidenti un equivoco e una precisa strategia: spacciare provvedimenti che allontanano e puniscono il disagio sociale come seri interventi per la sicurezza di tutti. Del resto nel nostro paese stanno passando leggi, decreti, ordinanze che rubricano la povertà e la disperazione di chi non ha nulla, di chi non ha scelte, tra i motivi di esclusione, di detenzione, di espulsione.
E tutto questo lo chiamano, con orgoglio, sicurezza. Gli italiani, nella loro cultura, prima ancora che nelle loro leggi, rischiano di allontanare dalla loro vista e dal perimetro della loro umanità, ciò che nelle democrazie moderne si chiama disagio, di perdere il senso della parola eguaglianza, di smarrire il rispetto della dignità umana.
Non conosco la signora che è stata rimandata in Romania. Sembra di capire che fosse sostanzialmente colpevole di essere povera, forse disperata, direi sprovveduta, tanto da non essersi neanche registrata all'anagrafe. Può questo essere l'identikit di un criminale tanto pericoloso da essere cacciato? Probabilmente ha offeso la morale o il pubblico decoro, prostituendosi sulle strade di Roma. Per questo è stata rimossa, avendo deciso che non ci sono altre politiche possibili.
Le politiche urbane a Roma si sono ridotte a politiche di ordine pubblico. Le storie di queste due donne, così diverse, si inseriscono in un crescente clima di razzismo diffuso e di ripetute, feroci aggressioni a sfondo etnico.
Ma non è solo Roma. Le politiche sulla sicurezza della destra utilizzano la prostituzione per fare vetrina di sé, per coprire il vuoto sul riscatto che non promuovono, sul reinserimento sociale che non prevedono, sul ridimensionamento del patto sociale fondato sulla giustizia. Su questa china c'eravamo già incamminati nei giorni che seguirono il terribile omicidio di Giovanna Reggiani. Nel dibattito pubblico la violenza sessuale venne utilizzata e letta come un problema di natura etnica, che identificò negli stranieri la causa della violenza. Da lì decollò la campagna della destra sulla sicurezza a Roma. Adesso eccola la sicurezza promessa. Da giovedì a Roma ci sono due donne di meno, ma la città non è più sicura, è solo più cattiva. Se una donna grida «se mi rimpatriate mi ammazzo» e la rimpatriano, se una donna si prostituisce e qualcuno esulta perché cacciando una prostituta dalla nostra città (una delle più grandi metropoli del mondo) l'ha resa più sicura, possiamo avere una sola certezza: che ci stiamo assuefacendo al male, banalmente.
* vicepresidente, assessore alle politiche culturali della Provincia di Roma