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CASTELLINA LUCIANA

Antonio Gambino, un giornalista da non dimenticare
Antonio Gambino non è più con noi in questo mondo e, sebbene la sua vita sia stata lunga e piena, la sua scomparsa ferisce. Ci sembra ingiusta e inattesa, come sempre quando viene a mancare una persona ancora viva e importante.
È un'amputazione dolorosa, umanamente e politicamente.
Antonio è stato un protagonista del gruppo politico-giornalistico che aveva dato vita negli anni '50 all'Espresso, e poi, nei '70, a La Repubblica; e su quelle pagine, per più di quarant'anni, ha tenuto aperta una preziosa rubrica, finestra intelligente (dove hanno spesso soffiato venti di controcorrente) sugli avvenimenti internazionali.
Antonio non è stato comunque solamente questo. Oltre al suo impegno di storico («Storia del dopoguerra dalla Liberazione al potere democristiano»; «Intervista a De Gasperi»), egli è stato - via via accentuando la sua vena di polemista - un militante politico.
Non posso che definirlo così per il coraggio delle sue denunce contro la retorica europeista («Europa invertebrata», «Vivere con la bomba»), ma soprattutto contro l'ipocrisia dell'Occidente (e in particolare degli Stati Uniti), filistei paladini dei diritti umani, usati come strumento d'ingerenza e sostenuti dall'«indicibile» intervento «umano militare», accusatori del terrorismo dei poveri, ciechi rispetto a quello degli stati («L'imperialismo dei diritti umani»; «Esiste davvero il terrorismo?»).
E' stato anche e forse soprattutto un critico durissimo di Israele, non aprioristico e ideologico, perché conosceva assai bene quel paese e la drammatica storia del popolo ebraico, e le sue critiche erano dunque sempre precise e sofferte.
Con lui ho condiviso una grande amicizia per Wael Zwaeter, primo rapprentante in Italia di Al Fatah, assassinato dal Mossad a Roma nel 1972.
Luciana Castellina

A sua moglie Caterina Cardona, ai suoi figli Evelina e Simone, le condoglianze della redazione e di tutto il collettivo de Il Manifesto

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