LIBRI: SERGIO LUZZATTO, I POPOLI FELICI NON HANNO STORIA, MANIFESTOLIBRI, PP. 285, EURO 22
Con un bel titolo, I popoli felici non hanno storia, che si ispira a una frase di Raymond Queneau, «la storia è la scienza dell'infelicità degli uomini», arriva in libreria per manifestolibri la nuova raccolta di saggi brevi di Sergio Luzzatto dopo Il sangue d'Italia. Questa volta Luzzatto ci riporta indietro, prima del Novecento, organizzando in quattro sezioni tematiche una serie di interventi pubblicati soprattutto sulle pagine culturali del «Corriere della sera», alle quali ha smesso recentemente di collaborare. Il papa in casa, (T)errore, Corporale e Judaica sono i titoli dei quattro nuclei in cui l'autore affronta con brio e icasticità, prendendo spunto da avvenimenti o opere appena pubblicate, una serie di «groppi» del nostro passato che continuano a pesare sul presente. La felicità di scrittura di Luzzatto si accompagna a un'apertura agli orizzonti della storiografia europea ed extraeuropea che dà respiro al nostro dibattito, talvolta assai provinciale.
Sulla presenza della Chiesa nel nostro paese - percepita anche più acutamente nella gestione del papato ratzingeriano - Luzzatto ricorda quanto nell'Europa unita di oggi basti traversare qualsiasi ex frontiera per «misurare a contrario l'eccezione italiana, l'abnorme centralità del papa e della chiesa nella vita della nostra comunità nazionale», tanto da chiedersi se non si sia in presenza di una seconda Controriforma che affonda le sue radici nella storia di cinque secoli fa. La riconquista cristiana delle coscienze, su cui punta Benedetto XVI rilanciando il principio tomistico dell'armonia tra ragione e fede, trova scarso contrasto nella debolezza della cultura laica, che paga pegno all'orientamento togliattiano e berlingueriano cui si è ispirata la sinistra. Questa prima sezione si chiude con L'altro Cristo, una difesa del saggio di Luzzatto su Padre Pio, il lavoro più maturo dello storico sul nostro Novecento e sul fenomeno del clerico-fascismo, nonché sulle sue metamorfosi nell'era democristiana e nell'odierna new age.
Dopo avere affrontato la storia della Chiesa con toni per nulla diplomatici, Luzzatto si rivela impietoso anche con le nostre radici nella Rivoluzione francese, principale oggetto dei suoi studi giovanili, facendo i conti con le peripezie del pensiero di Furet, e affrontando di petto la valutazione del Terrore. Lo studioso respinge «il luogo comune del terrore come alterità, male altrui» e lo riconosce come «identità, male nostro», vedendo nella rivoluzione «un'utopia della fraternità minacciata dall'entropia del fratricidio» e non rifuggendo dalla constatazione che «la violenza è la levatrice della storia». Insomma, l'ombra della ghigliottina si allunga sulle grandi conquiste dell'universalità del suffragio, laicità delle istituzioni, scolarità obbligatoria e gratuita, assistenza sociale, emancipazione dei neri e degli ebrei. Sebbene l'accostamento di Mazzini a Osama Bin Laden sia una forzatura di quelle in cui talora Luzzatto indulge (e il rischio è di cadere nella banalità della «rivoluzione non è un pranzo di gala»), è evidente lo sforzo di fare i conti con le tragedie del Novecento senza falsa coscienza. E Luzzatto riconosce a Rossana Rossanda la forza di affrontare questi interrogativi, sollevando il dubbio radicale «che ogni Ottantanove contenga un Novantatré». Ma il più bello degli articoli di questa sezione è Robespierre e il mare, un ritratto del rivoluzionario pedante di Arras che non si è mai tolto lo sfizio di spingersi fino alla spiaggia di Calais a vedere il mare.
In Corporale Luzzatto si misura con Foucault e con la biopolitica, le cui premesse - che troveranno compimento con Auschwitz e Hiroshimasi - si leggono già nella guerra civile americana, nelle trincee di Verdun, in Africa nella guerra d'Etiopia e in Oriente nel massacro di Nanchino. Accanto ai corpi dei nemici uccisi, studiati da De Luna, ci sono anche i corpi individuali idolatrati nell'immaginario collettivo, come quello di Marilyn, «una dea, ma alla portata di chiunque», la cui anima fa paura. Abile analista dell'uso delle immagini nella parabola del potere, l'autore del Corpo del duce ha ancora molto da dirci sul «populismo democratico e televisivo» che stiamo attraversando, ammaestrato anche dallo studio del fenomeno di devozione di massa organizzato attorno a Padre Pio.
La quarta sezione, la più controversa, contiene tra l'altro gli articoli sulle Pasque di sangue che scatenarono dure accuse contro Luzzatto, affiancato nella messa al bando dello storico Ariel Toaff per aver osato ipotizzare che i sacrifici rituali, di cui gli ebrei erano accusati, potessero in taluni casi essere avvenuti. L'approccio alla Shoah di Luzzatto respinge la categoria del «male assoluto», che metterebbe la persecuzione degli ebrei al di fuori della storia e si rifà a Giacomo De Benedetti e a Primo Levi. Del primo ricorda le pagine del '43, dopo la retata nel ghetto di Roma, quando De Benedetti chiede che i morti ebrei «siano messi in fila con tutti gli altri morti, con tutte le altre vittime di questa guerra». La persecuzione degli ebrei d'Europa, insomma, «non tanto come l'ennesimo, tragico segno di un destino di eccezione, ma piuttosto come un'occasione terribile, unica, per riconoscere nella sofferenza degli ebrei la sofferenza dell'umanità». È la stessa preoccupazione di Primo Levi nel '78, quando progetta il memoriale di Auschwitz, esprimendosi nella doppia veste di antifascista e di ebreo, una preoccupazione che Luzzatto condivide riflettendo sul senso del «giorno della memoria» e sul rischio di vittimizzare gli ebrei e consegnare la memoria della Shoah a una dimensione astorica. Nel Ruggito dell'agnello, uno degli ultimi pezzi sul «Corriere», uscito a gennaio, colpisce, nell'analisi delle Lettere dalla Shoah, la sottolineatura della vendetta come tema di fondo delle lettere dei condannati: dopo la soluzione finale, niente poteva e doveva essere più come prima.