INTERNAZIONALE

Spazio alla società civile, l'altro Iraq si incontra a Roma

A SEI ANNI DALL'INIZIO DELLA GUERRA
ALBERTI FABIO,

Quarantacinque associazioni irachene si stanno incontrando in questi giorni a Roma. Sono presenti sindacati, associazioni di donne e studentesche, rappresentanti di minoranze, giornalisti. Uno spaccato della società irachena che si confronta con altrettante organizzazioni internazionali sul ruolo della società civile a sei anni dall'inizio della guerra. Anzi delle guerre.
Perché di molte guerre si tratta. Dalla invasione Usa per il controllo del petrolio, madre di tutte le guerre, altre ne sono conseguite e vi si sono intrecciate. La guerra civile, innanzi tutto, che ha visto poteri locali contendersi il vuoto lasciato dalla caduta del regime: sciiti contro sunniti, ma anche sciiti contro sciiti e sunniti contro sunniti, kurdi e arabi, fino alla guerra delle tribù sunnite del «risveglio» contro al Qaida. Con le relative pulizie etniche e milioni di profughi e sfollati. Poi c'è la guerra tra i paesi dell'area che si sono contesi sulla pelle degli iracheni il ruolo di potenza regionale. Ma c'è anche la guerra contro le donne, prime vittime della violenza, degli stupri, delle milizie religiose, e quella contro i diritti. E la criminalità diffusa, la polizia impotente occupata dalle milizie, e le vendette trasversali, i regolamenti di conti, in un clima di violenza che è stata la cifra della vita quotidiana di questi ultimi sei anni.
Una situazione così complessa non si risolve con il solo ritiro degli Stati uniti, ma necessita di una soluzione politica che riguardi tutti gli attori implicati e in primo luogo gli iracheni e le irachene. E ora che il ritiro degli Usa comincia a intravedersi, la violenza è scemata e le condizioni internazionali stanno cambiando, è il momento in cui la società civile irachena può tentare di fare la differenza.
C'è infatti un attore in Iraq, composto da migliaia di associazioni, sindacati, gruppi e volontari, che alle guerre non ha partecipato se non come vittima, e che in questi anni ha lavorato affinché il futuro dell'Iraq fosse basato sui diritti. Tuttora negati. Nell'Iraq «democratico» non sono riconosciute la libertà sindacale, la libertà di associazione e di stampa. I poteri pubblici sono corrotti e occupati da gruppi di interessi. Le condizioni materiali di vita infime. Elettricità, acqua, medicine, cibo mancano a gran parte della popolazione. La società civile irachena in questi anni si è confrontata con questi problemi, ha lavorato per una riconciliazione e per lo stato di diritto. I sindacati ad esempio. E' ancora in vigore la legge sul sindacato unico e gran parte delle organizzazioni dei lavoratori sono fuorilegge. Il governo e le milizie hanno minacciato, arrestato, ucciso decine di sindacalisti, congelati i fondi in banca, intervenuti sulle elezioni interne. Ma i lavoratori sono stati ugualmente protagonisti di lotte importanti sia per un lavoro decente, sia anche contro la legge sul petrolio.
Le organizzazioni di donne sono scese in piazza già nel 2003 contro l'abolizione della legge sulla famiglia. È anche per questo che nelle liste elettorali è assicurata una presenza femminile. Ma sono soprattutto impegnate sul fronte della violenza di genere e dei crimini d'onore, piaga che ha ripreso forza dopo la guerra. C'è un altro Iraq, ignorato dalla stampa, guardato con sufficienza dei governi, non visto nemmeno dalla società civile dei nostri paesi. Questo Iraq si incontrerà a Roma su invito della «Iraqi Civil Society Siolidarity Inititive», promossa da Un ponte per..., Focus on the Global South, l'inglese War on Want, la canadese Alternatives, il Transnational Institute la francese CCIPPP, il People's Health Movement e la International Alliance of Inhabitants per tentare di varare un piano di azione di sostegno della società civile irachena che sarà presentato il 31 marzo nella sala della Provincia di Roma.
* Un ponte per

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