CULTURA & VISIONI

Pericoli, sognando i paesaggi collinari

MOSTRE
VEROLI SILVIA,ASCOLI PICENO

Il primo giorno di primavera nelle Marche è schiaffeggiato dall'area gelida che viene dai Balcani e dalla costa si infila in mezzo alle colline e porta la neve. La strada attraverso la regione che si fa per arrivare ad Ascoli dove è allestita la mostra di Tullio Pericoli Sedendo e mirando è già percorso espositivo che anticipa l'emozionante ricerca sul paesaggio condotta in oltre quarant'anni dall'artista di Colli del Tronto.
Le colline che si increspano come onde nel panorama a scacchi già immortalato da Giacomelli sono le stesse che Pericoli racconta con matite, acquarelli, olio e collage nelle 130 opere esposte ad Ascoli da ieri fino al prossimo 13 settembre nell'ambito della rassegna SaggiPaesaggi, alla Galleria d'arte contemporanea dedicata al genius loci piceno, Osvaldo Licini. L'altro nume tutelare dell'esposizione è anche lui marchigiano ed è evocato dai due gerundi del titolo, «sedendo» e «mirando», ad evocare scorci capaci di alludere all'Infinito.
C'è una curiosa corrispondenza tra le visioni paesaggistiche di Pericoli, linee in fibrillazione, frecce che disorientano e divertono (anche nel senso etimologico del termine) come un incubo carrolliano. Voi non siete qui, dice il segno sulla mappa e racconta paesaggi fratti, come manciate di indizi di un enigma. Non sono troppo dissimili dai suoi famosi «Ritratti Arbitrari» di uomini illustri, queste rappresentazioni della terra marchigiana da cui Pericoli fa scaturire storie, messaggi cifrati, subconscio geologico ed emotivo, rughe d'espressione, come colate di lava. Sollevato per sua ammissione dal non apparire idilliaco e consolante, Pericoli anima il paesaggio della propria indisciplinata irrequietudine, che gonfia i profili orografici e le vedute quasi aree dei suoi disegni, come fa il vento con le vele. Qualcosa scalpita dietro ogni veduta e si riversa nelle tele in forma di ritagli di giornale, chiodini nelle chiome degli alberi, segni segmentati, come quelli che riempiono la scrivania di Pericoli (e di molti altri artisti) in certi suoi celebri autoritratti. Sarà che Tullio richiama la terra e le scosse telluriche, ma la prima grande antologica dei suoi paesaggi ha qualcosa di molto terreno e preistorico: i confini dei campi somigliano alle faglie della crosta terrestre e hanno più della forza di un'eruzione nel Pacifico, di quelle che fanno nascere vulcani e isole del tesoro (Pericoli ha illustrato la casa di Robinson Crosue, si ricordi, e quella di Robert Louis Stevenson), che degli angeli celestiali, sibillini e ribelli di Licini pure vicino a Pericoli per affinità di segni e disposizione all' incanto.
Proprio nella contemplazione assorta, esplicitata nel «mirando» leopardiano, Pericoli trova una dei nodi cruciali della sua ricerca paesaggistica rivelando però in conferenza stampa come quell'ammirare diventi anche, nella sua concezione poetica, un prendere la mira, zoomare un dettaglio, isolare una parte e farla parlare di tutto il resto. Preservare scampoli di paesaggi, viene da dire percorrendo la mostra, per l'impossibilità di dire e concepire l'assoluto, ma forse anche per preservare angoli intatti di superfici più ampie e corrette, all'uso di certi moderni fotografi del paesaggio. Le opere più recenti sono meno Pericolose (Pericolanti?), apparentemente più sintetiche, sempre molto evocative. I paesaggi hanno colori di primavera in ritardo, gamme di grigi, tortora, lilla, con macchia isolate di colore (come quelle dei peschi ostinatamente in fiore nel grigio nevoso della campagna marchigiana). L'uomo e le sue costruzioni sono sempre assenti (con l'unica defilata eccezione della «Lunetta per Torrecchia» ) nel mondo di Pericoli, esclusi da visioni e progetti; nel nostro invece ci sono eccome, e una manovra edilizia scellerata li renderà li condonerà ex ante, alla faccia di tutti i paesaggi.
L'ottimo catalogo della mostra è edito da Skira e contiene, tra gli altri, gli interventi di Elena Pontiggia e Antonio Tabucchi.

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