CULTURA & VISIONI

Lontano DA CASA

L'ITALIA ALLO SPECCHIO DELLE SUE MIGRAZIONI
FRANZINA EMILIO,

La storia è un magazzino dove, volendo, ognuno può trovare ciò che gli serve. Dico in termini esemplari e per una forte analogia con Google, inteso come motore di ricerca: con tutti i pericoli, però, che ne conseguono. Se infatti a maneggiare il passato, o a navigare in rete, è qualcuno di poco avvertito, sono subito guai. Come sa ogni professore che si rispetti dalle medie in su, considerato l'inselvatichimento crescente degli allievi e l'incredibile tasso di ignoranza che affligge ogni giorno di più la popolazione italiana, c'è il rischio di trovarsi di fronte agli effetti mostruosi di troppo incaute comparazioni.
Ciò detto, colpisce che di fronte al progressivo impoverirsi delle conoscenze minime e medie indotto da chi (per esempio la televisione) avrebbe tutti i mezzi per conseguire risultati opposti, sia dato assistere in campo culturale - poniamo, per quello che qui ci interessa, nel mondo variegato degli studi storici - a un vero e proprio boom di arricchimenti e di approfondimenti che non possono non avvalersi di revisioni smaliziate e del ricorso assiduo ai paragoni.

Meccanismi di identificazione
A sfogliare le quasi quattrocento pagine di un'opera a più mani ricca di dati e di diverse «storie e geografie tra breve e lunga distanza» edita da Donzelli (Donne e uomini migranti, a cura di Angiolina Arru, Daniela L. Caglioti e Franco Ramella) ci si rende conto di quanto sia cruciale la questione che nell'ottica della più intelligente storia sociale si converte qui in analisi multilaterale dei movimenti migratori e in descrizione accurata e spesso affascinante dei mille percorsi della mobilità geografica di italiani (e «stranieri») fra età moderna e contemporanea. La loro frequente «circolarità», i tipi di spostamento, la dinamica delle reti di promozione e di appoggio, le peculiarità di genere e le intersezioni con gli universi economici e creditizi, lavorativi e clientelari consentono da un lato l'originale recupero di temi alle volte trascurati (dalla «scoperta del turismo» studiata da Anna Treves alle strategie degli emigranti in partenza dal nostro arco alpino esaminate da Luigi Lorenzetti) ma soprattutto mostrano quanto complesso sia il quadro delle motivazioni e quanto ampia la gamma dei problemi suscitati dalla «gente che si muove».
Una indagine di questo tipo porta con sé l'esigenza di realizzare frequenti comparazioni che sembrano, sempre di più, come il sale della ricerca e uno dei fondamenti delle odierne interpretazioni in chiave transnazionale dell'esperienza migratoria. Ma c'è un ma. In quel settore speciale della storiografia che - occupandosi appunto delle migrazioni così interne come internazionali - appare fra i più accreditati a correlarsi «necessariamente» con le vicende della nostra contemporaneità, lo sforzo compiuto per mettere a confronto con l'oggi momenti ed episodi del passato appare sì positivo e assiduamente praticato dagli studiosi, e tuttavia non risulta quasi mai foriero, almeno sinora, di benefiche ricadute nell'immaginario collettivo, eccezion fatta - e anche qui con riserva - per ciò che attiene ai temi dell'intolleranza e delle discriminazioni razziste (su cui è tornata a intrattenersi Patrizia Salvetti con le sue Storie di ordinaria xenofobia. Gli italiani nel sud - est della Francia tra Otto e Novecento, Franco Angeli 2009).
Se prendiamo in considerazione, ad esempio, l'ormai classico topos giornalistico di «quando gli emigranti eravamo noi» viene quasi da mettersi le mani nei capelli. Sorge infatti il sospetto, e più che il sospetto, che nella rincorsa di facili (e nelle intenzioni meritorie) analogie si annidino fraintendimenti di grande portata. Lo scopo del rinvio ai precedenti (propri o altrui) e il ricorso all'analogia, infatti, dipendono, anche nel senso comune, dal presupposto abbastanza elementare per cui la conoscenza di ciò che è già successo dovrebbe consentirci di comprendere più facilmente ciò che si viene svolgendo sotto i nostri occhi. Questo a patto di sapere cosa è successo, il che purtroppo non accade quasi mai, visto che i meccanismi postumi di identificazione innescati dal divulgativismo giornalistico si fondano su una conoscenza precaria (e spesso anzi sulla più bieca ignoranza) della storia e ben di rado riescono a fare i conti con la complessità e la varietà dei fenomeni che gli addetti ai lavori riscontrano nelle loro rivisitazioni del passato e quindi negli avvenimenti del presente. Persino la retorica melodrammatica che schiaccia generazioni di emigranti «nostri» nel ruolo di vittime (e sia pure dello sfruttamento capitalistico, preferibilmente all'estero), oltre a cancellare un intero versante della loro effettiva configurazione sorretta anche da calcoli economici razionali, da intraprendenza e da rapporti complicati con le popolazioni e con i governi dei paesi di arrivo, mette a repentaglio proprio una corretta lettura del presente.
Quanto ciò sia vero si ricava talora da studi per così dire «periferici», come accade, per restare in tema di intraprendenza, nei libri dedicati all'intreccio fra vivacità economica degli immigrati e iniziative statali sorte già nell'Italia liberale a loro sostegno, ora per ragioni di prestigio nazionale, ora per obiettivo tornaconto di parte. A questo proposito molti spunti offre l'esauriente disamina di Simone Colafranceschi (A guisa di un immenso molo. Le istituzioni per il commercio estero nell'Italia postunitaria, Aracne 2008) nella quale si colgono in filigrana il senso e i limiti dell'operosità, spesso vantata a sproposito, degli italiani che si stabilirono all'estero e si diedero con successo ad attività imprenditoriali avviate, il più delle volte, alla ventura o in spazi inizialmente contrassegnati dal pragmatico destreggiarsi dei protagonisti sovente e a lungo in bilico fra clandestinità e rapporti contrastati con le realtà dei paesi ospiti.

Tra Sesto e Cinisello
Qualora si volesse poi ragionare, in maniera più pertinente, di clandestini, relativamente poco si ricaverebbe dalla storia delle grandi migrazioni transatlantiche dove, dagli Stati Uniti all'America Latina, non furono numerosi, nei luoghi di accoglienza, gli episodi di ingresso illegale e - tolto il mondo della grande criminalità organizzata - la permanenza degli immigranti italiani in situazioni o in condizioni di forzosa illegalità. Esse si riscontrano viceversa, e in abbondanza, altrove: dalla vicina Francia sino all'ultimo dopoguerra dove li hanno studiati Andreina De Clementi, Michele Colucci e Sandro Rinauro alla stessa Italia delle migrazioni interne fra le due guerre. Qui, come dimostra adesso, dopo i lavori di Anna Treves, una esemplare ricerca di Laura Sudati (Tutti i dialetti in un cortile. Immigrazione a Sesto San Giovanni nella prima metà del '900, Guerini e Associati 2008), si diedero infatti lungo gli anni '30 moltissimi casi a prima vista paradossali di clandestinizzazione e di conseguente respingimento degli immigranti. Complici le leggi restrittive e antiurbane del regime fascista, non era inusuale che alle porte di Milano, in uno dei più dinamici centri industriali della penisola, scattassero misure restrittive ai danni di una manodopera richiamata - consapevolmente richiamata, vale la pena di notare, a dispetto delle normative illiberali vigenti - da grandi industrie come la Breda e la Falck con tanto di espulsioni e di cacciate (persino da Sesto a Cinisello Balsamo!), in un contesto nel quale non mancano, come sarà anche più tardi con la salita al Nord dei meridionali, i segni dell'intolleranza, dello sfruttamento e dei mille problemi (abitazioni, ricongiungimenti) legati ai processi d'integrazione.
E il copione si ripete per altri aspetti, solo apparentemente invariato, sul terreno delle ultime partenze di massa dall'Italia postbellica con i sondaggi occasionati da ricorrenze e anniversari, ieri Marcinelle e la ripresa dell'esodo proletario in Germania, oggi l'edizione di corrispondenze particolari, ma oltremodo indicative, di lavoratori che qui giunsero negli anni '60 e '70 (nuovo capitolo nella storia intrigante dell'epistolografia popolare in emigrazione affrontato da Roberto Sala e Giovanna Massariello con Radio Colonia. Emigrati italiani in Germania scrivono alla radio, Utet 2008).
Volendo farsi un'idea di come simili fatti si inseriscano in un vorticare di flussi emigratori e immigratori destinati a plasmare i destini e le stesse identità nazionali nel corso dell'intero Novecento (e prendendo anzi le mosse dalla fine del secolo precedente), non è necessario, però, attingere ai frutti della ricerca specialistica più sofisticata perché ultimamente anche da noi hanno cominciato a prender piede - verrebbe voglia di dire per fortuna - molti saggi di alta divulgazione che spaziano dai panorami generali (come è nell'utile volume di Patrizia Audenino e Maddalena Tirabassi Migrazioni italiane. Storia e storie dall'Ancien régime a oggi, Bruno Mondadori 2008) agli studi riepilogativi nei quali la fattispecie italiana torna a essere collocata, come di fatto fu, nella sua giusta cornice (ad esempio in quel mosaico da «paese d'immigrati» che furono e sono gli Stati Uniti di cui trattano con grande efficacia espositiva Stefano Luconi e Matteo Pretelli ne L'immigrazione negli Stati Uniti, il Mulino 2008).
Non è tuttavia solo con questo mezzo che si potrà alla lunga sanare la contraddizione esistente e resistente da noi fra l'ottimo livello e l'ampia disponibilità dei titoli e l'angustia minimalista e deviante delle ricostruzioni giornalistiche più disinvolte (ma che fanno opinione) sin tanto che non si riesca a colmare, ad esempio, un'altra lacuna stavolta evidente nell'intero settore dei nostri migration studies. Esso, infatti, che pure si raccorda qua e là con le riflessioni della migliore storiografia post-coloniale o che cerca di farlo in modo tentativo attraverso evidenti commistioni disciplinari come succede in un recente contributo di Giulio Mattiazzi su Migrazioni, influenze politiche e ibridazione culturale fra Europa e America Latina: XVIIII - XXI sec (L'Harmattan Italia 2009), sconta ancor oggi un certo deficit di contestualizzazione nella storia politica dell'Italia.
Deficit a cui non possono porre rimedio, per quanto preziose e ben condotte, né le indagini più originali sulla trama, poniamo, delle relazioni che si instaurarono, in emigrazione, fra religiosità strutturata, cattolicesimo e protagonismo femminile (per cui c'è da vedere ora, a cura di Susanna Garroni, l'ottimo Sorelle d'oltreoceano. Religiose italiane ed emigrazione negli Stati Uniti, Carocci 2008), né i classici studi di storia diplomatica o gli altrettanto usati abbinamenti fra storia dell'antifascismo e storia delle comunità italiane all'estero.

Un argomento impenetrabile
Fanno certa eccezione, qui, le analisi dei «percorsi di una difficile identità», fra esilio cioè e immigrazione, come quelle coordinate ora per la Tunisia da Lucia Valenzi e, nel dettaglio, da Teresa Tomaselli (nel volume Italiani e antifascisti in Tunisia negli anni Trenta, Liguori 2008) o, per altri versi, alcuni saggi di storia delle relazioni internazionali come quello, documentatissimo, dedicato da Marco Mugnaini a Brasile e Argentina nella politica estera italiana dal 1919 al 1943 (L'America Latina e Mussolini, Franco Angeli 2008), dove sono di estremo interesse le informazioni sull'impatto del fascismo, del nazionalsocialismo e dell'integralismo nazionalista sugli italiani e gli italo-discendenti specie del Brasile.
Ma si tratta ancora di modesti spiragli che non scalfiscono presso gli storici italiani l'impenetrabilità, sino a poco tempo addietro addirittura imbarazzante, dell'argomento. Come questo cominci a balenare invece all'orizzonte, magari grazie a libri che ci arrivano da oltreoceano sul tipo dell'Emigrant Nation. The Making of Italy Abroad di Mark I. Choate (Harvard University Press 2008) o che trattano di vicende solo in apparenza più discoste quantunque nient'affatto marginali (si pensi solo al bellissimo lavoro di Silvia Salvatici Senza casa e senza paese. Profughi europei nel secondo dopoguerra, il Mulino 2008) è cosa che dovrà essere ripresa e discussa a parte un'altra volta anche perché sono in dirittura d'arrivo prima dell'estate alcune opere di prevedibile spessore, come un Annale della Storia d'Italia Einaudi sull'emigrazione curato da Paola Corti e Matteo Sanfilippo, che probabilmente ne forniranno, o prima o dopo, il destro.

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