Accade di rado di leggere un libro di discussione su temi fondamentali della biologia moderna così stimolante, e in alcuni punti decisamente appassionante, come il piccolo volume uscito da Bollati Boringhieri con il titolo La musica della vita. Biologia oltre la genetica, scritto da Denis Noble, autorevole fisiologo inglese, già molto noto per i suoi studi fondamentali sulla genesi del ritmo cardiaco. Negli scorsi quarant'anni molti autorevoli scienziati hanno avvertito l'inefficacia di visioni limitate e riduttive per la comprensione del complesso problema della vita. Noble, tra questi, è passato da un orientamento essenzialmente «riduzionista», rivolto alla caratterizzazione dei minuti flussi elettrici delle membrane cellulari che presiedono all'eccitabilità e alla ritmicità del cuore, a porsi problemi generali come quello dell'onnipotenza del codice genetico e del suo ruolo deterministicamente semplice e prevedibile nella formazione degli organismi viventi. Per approdare poi a discussioni ancora più generali sul rapporto tra il cervello e il pensiero.
In una epoca che gli sembra ormai remota, Noble, allora giovane fisiologo, intendeva sviluppare una teoria della ritmicità cardiaca e pensava di poterlo fare a partire da esperimenti sulle cellule cardiache; tuttavia, una volta resosi conto della necessità di un orientamento più ampio e quantitativo, si avventurò «trepidante» al cospetto dei «sacerdoti dei primordi del calcolo scientifico», i superspecialisti che presiedevano a Mercury, l'unico calcolatore elettronico disponibile nell'Università di Londra.
Negli anni successivi Noble si rese conto dell'impossibilità di formulare una teoria valida della genesi e della propagazione dell'impulso elettrico nel cuore mettendo semplicemente insieme i dati ottenuti studiando le singole cellule, o addirittura le singole proteine della membrana cellulare. Dunque, si convinse presto della necessità di sviluppare un orientamento globale, mutuato dalla teoria dei sistemi, basato sul principio che le proprietà funzionali di un insieme di elementi interagenti non è prevedibile semplicemente «sommando» insieme le proprietà dei singoli elementi. Qualcosa però accadde, in una direzione apparentemente inversa, negli anni in cui Noble e altri fisiologi della sua generazione tentavano di mettere in campo metodi e approcci anche concettuali nuovi per districare la complessità degli organismi. Sull'onda del gran successo di Crick e Watson con la doppia elica del Dna, nella biologia moderna cominciò a prevalere in modo progressivamente pervasivo l'approccio genetico molecolare e molti pensarono che il problema della vita sarebbe stato risolto alla radice quando si fosse identificata la struttura dell'intero patrimonio genetico.
L'idea di base era che il codice genetico determinasse in modo univoco e assoluto, non solo la struttura delle proteine codificate, ma tutte le funzioni dell'organismo, a tutti i livelli di complessità. Questa idea e le sue conseguenze pratiche tra le quali il gigantesco «Progetto genoma» hanno portato a convogliare verso una biologia molecolare ciecamente riduzionista e rigidamente determinista la maggior parte degli sforzi della ricerca sperimentale degli ultimi decenni. Anche grazie alla stampa, che amplificava pressoché ogni giorno le notizie sulla supposta identificazione del gene di una malattia, o di una caratteristica somatica, o di una condizione mentale, fino a pretendere di scoprire i geni che presiedono a emozioni, creatività intellettuale e artistica, tutto sembrava ridursi a determinare una sequenza genica e a mostrare in qualche modo la sua associazione a una caratteristica dell'organismo.
Ma il successo stesso del progetto Genoma, mostrando i limiti di questa impostazione, ha messo in luce l'importanza di tutta una serie di livelli di architetture proteiche, morfologiche e funzionali, e di complesse interazioni, assolutamente non previste e non prevedibili sulla sola base del cosiddetto codice genetico. Con una prospettiva che certo non è né neovitalista né tanto meno spiritualista, Noble smonta la fiducia naïve nell'onnipotenza della lunga sequenza di strutture molecolari che costituisce il patrimonio genetico. Lo fa con un linguaggio arguto e comprensibile, mettendo in campo apologhi e metafore, a partire da quella che dà il titolo al libro: la vita come musica. Dove per musica non si intende semplicemente la serie di informazioni contenute in un cd, ma piuttosto la sequenza di note prodotta da un organo a trentamila canne suonato da un esperto organista che, per comporre la sua armonia, deve far appello a risorse molto più complesse e articolate delle semplici strutture tubulari del suo strumento. Come in quasi ogni spartito, tuttavia, anche tra le pagine di Noble c'è qualche nota fuori registro, che va messa in conto: per esempio, il riferimento alla posizione «invertita» della retina nei vertebrati interpretata come un esempio di errore della natura. In realtà, questa disposizione risulta essere fisiologicamente e metabolicamente vantaggiosa in conseguenza del rapporto stretto che permette di stabilire tra fotorecettori e cellule pigmentate. Ma, più in generale, le metafore e gli apologhi di questo libro, oltre a permettere una più facile comprensione dei concetti fondamentali che vi sono contenuti, aiutano a godere della sinfonia del tutto, smentendo l'affermazione di un cattivo filosofo del Novecento, il quale diceva qualcosa come che «l'intelligenza finisce dove comincia la scienza».