INTERNAZIONALE

TORCE UMANE A PECHINO: IPOTESI DIVERSE SUL PERCHé

CINA
PIERANNI SIMONE,CINA/PECHINO/TIBET

In pieno centro a Pechino, poco distante da piazza Tian'anmen, all'interno di un'auto tre persone, due uomini e una donna, si sono dati fuoco: immediata in Cina è scattata la consueta comunicazione a singhiozzo da parte delle autorità, insieme a sospetti e congetture circa l'accaduto. Anche perché ieri è cominciato il capodanno tibetano, il Losar, in un clima di tensione che ha portato alla chiusura del Tibet fino ad aprile per turisti e giornalisti.
Le prime testimonianze sul fatto accaduto a Pechino, davano proprio un tibetano tra gli autori del gesto. In mancanza di conferme o smentite, è nata puntuale la prima connessione tra quanto successo e la ricorrenza. Quest'anno più tesa che mai, per la vicinanza con i fatti di Lhasa dello scorso marzo e con il cinquantesimo anniversario dell'esilio del Dalai Lama. I tibetani, inoltre, avrebbero deciso di boicottare i festeggiamenti, in segno di sfida al governo pechinese e le ultime condanne inflitte ai responsabili dei disordini di Lhasa dello scorso anno. Atmosfera elettrica e pianificazione di sicurezza cinese portata al livello più alto, con operazioni di polizia a tappeto, contro ogni minimo sospetto. Gli episodi di immolazione hanno un precedente con la setta religiosa del Falun Gong, proibita in Cina: nel 2001 cinque attivisti, quattro donne e un uomo, si erano dati fuoco proprio sulla piazza Tian'Anmen.
Le autorità pechinesi, nel corso del pomeriggio, hanno provveduto infine a dare la loro versione: alcuni poliziotti si sarebbero insospettiti nel vedere una macchina con una targa non di Pechino percorrere, a lenta velocità, le vie del centro cittadino. Avrebbero intimato al conducente di fermarsi e proprio mentre si stavano avvicinando sarebbe avvampato il fuoco. Due persone sarebbero state portate all'ospedale, uno agli arresti, ma non sono ancora state fornite le generalità. Secondo la polizia pechinese i tre sarebbero «petizionisti», ovvero persone che giungono a Pechino per mostrare al governo le proprie lamentele nei confronti degli amministratori locali. Una pratica che arriva da lontano, direttamente dalle consuetudini dall'Impero. Spesso i «petizionisti» non hanno troppa fortuna, controllati a vista dalla polizia: talvolta non arrivano neppure a Pechino, in altri casi sono rispediti in fretta nella città d'origine, in altri ancora vengono fatti sostare per giornate intere in centri di raccolta, senza che mai abbiano l'opportunità di un'udienza.
Per un giornale di Hong Kong, invece, un testimone (che avrebbe parlato di un'esplosione e di aver notato un uomo che zoppicava ed una donna che urlava, mentre venivano catturati) avrebbe detto di aver visto che la macchina aveva una targa dello Xinjiang, regione del nordovest cinese a maggioranza musulmana nel mirino di Pechino, che ne teme le spinte indipendentistiche. In tal caso la pista sarebbe quella uigura. Il gruppo etnico, secondo le organizzazioni umanitarie internazionali, è quello più numeroso tra le migliaia di detenuti politici cinesi.

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