POLITICA & SOCIETÀ

Così la 'ndrangheta conquista piazza Duomo

MILANO
MILOSA DAVIDE,MILANO

In una Milano distratta dall'Expo e dalle crociate contro i rom capita che la mafia calabrese, quella che uccide e traffica quintali di cocaina, allunghi i propri tentacoli fin sotto le guglie del Duomo. Un'infiltrazione costante che dai paesi dell'hinterland ha conquistato il cuore del capoluogo lombardo: in piazza Diaz a pochi metri dalla terrazza Martini, a un centinaio da Palazzo Marino, quartier generale della giunta del sindaco Letizia Moratti. Si tratta del bar-ristorante Samarani, locale rinomato e soprattutto frequentato da uomini d'affari e politici. Valore: due milioni di euro. Per individuarne la proprietà, invece, bisogna lasciare Milano e scendere in Calabria alle pendici dell'Aspromonte. Ad Africo, infatti, è nato Giovanni Morabito, classe 1971, amministratore unico del Samarani, con residenza milanese. Alla Direzione investigativa antimafia di Milano lo conoscono come u' pantufuluni. Dalla sua scheda si legge: «Individuato all'interno del sodalizio Morabito-Mollica». Lo stesso direttamente riconducibile a Giuseppe Morabito, alias 'u tiradrittu, uno dei capi assoluti della 'ndrangheta, arrestato nel 2004 dopo oltre dieci anni di latitanza. Di più: Giovanni Morabito è il cognato di Domenico Mollica che la questura di Milano individua «come appartenente alla cosca Morabito-Bruzzaniti-Palamara». Le sorprese però non finiscono qua. Perché nell'elenco dei soci del locale compare il nome di Giovanni Tulli, nato a Seregno nel 1973, imparentato con i fratelli Cosimo e Giancarlo Tulli di Grammichele nel Catanese. I tre, nel 2002, sono stati condannati in Corte d'assise per riciclaggio. Cosa ripulivano? Il denaro dei Morabito. Chiarissima la sentenza di condanna: «Il ruolo di Giovanni Tulli - scrivono i giudici - consisteva nella gestione di attività economiche: bar, ristoranti... Costituenti sicuri investimenti e basi logistiche per l'attuazione dell'attività criminosa della cosca».
L'indagine, condotta dal pm antimafia Laura Barbaini, ha un nome esemplificativo: Deep cleaning (lavaggio profondo). Nell'elenco degli indagati, oltre ai Tulli, compare lo stesso Giovanni Morabito che nel 1997 viene colpito da un ordine d'arresto per il reato di associazione mafiosa. Il capo d'accusa lo descrive come uno dei leader della cosca «incaricato di organizzare l'afflusso di mezzi per portare a Milano i capitali liquidi della cosca necessari agli investimenti». Nello stesso anno, però, il titolare del Samarani si dà latitante. Il fonogramma, contenuto nel suo fascicolo giudiziario, dirama la cattura anche all'estero. Due anni più tardi, ad Africo, i carabinieri scoprono il bunker dove 'u pantufuluni si era nascosto. La latitanza di Morabito termina nel 2002, quando il tribunale di Milano lo assolve. L'attività criminale però non finisce qua. Nel 2005, il suo nome compare tra gli indagati dell'inchiesta Ciaramella condotta dal pm di Reggio Calabria Nicola Gratteri, il magistrato che più di tutti conosce i segreti della 'ndrangheta. Scrive Gratteri nella sua richiesta, riportata nell'ordinanza d'arresto: «Giovanni Morabito, dopo un lungo periodo di latitanza, a seguito di provvedimenti cautelari dai quali, in fase processuale era stato assolto, aveva fatto ritorno ad Africo alla vigilia del Natale 2002, per poi divenire volontariamente irreperibile l'8 gennaio, dopo aver effettuato un colloquio in carcere con il fratello Leo Morabito presso la struttura penitenziaria di Opera». Gratteri non si ferma qua, ma collega la scomparsa del titolare del Samarani con la sua «attività di narcotraffico». Tutte circostanze confermate dal pm milanese Laura Barbaini che nella sua richiesta d'arresto per le infiltrazioni mafiose nell'Ortomercato di Milano scrive: «Dagli atti acquisiti risulta che all' inizio 2003 siano stati individuati collegamenti a Milano fra soggetti, quali Morabito Giovanni classe 1971, che visitano in carcere Morabito Leo (condannato per traffico di droga e associazione mafiosa) e Francesco Pizzinga nipote di Salvatore Morabito». Quest'ultimo, imparentato col tiradritto, soprannominato zu Turi o Trubbula, il primo agosto 2008 è stato condannato a 13 anni per traffico di droga.
I legami mafiosi all'interno della Samarani Srl emergono anche dalle partecipazioni societarie di Giovanni Tulli. Il giovane pregiudicato, infatti, possiede alcune quote nella Vela srl. La società, data in fallimento dal 1995, viene individuata nell'inchiesta Deep Cleaning come il principale strumento attraverso il quale la cosca Morabito da un lato ripuliva il denaro della droga e dall'altro s'infiltrava nel centro di Milano attraverso l'acquisto di bar e ristoranti. Dalla visura camerale, ancora oggi, alla voce soci compaiono i nomi di Leo Morabito e soprattutto di Domenico Mollica. Giovanni Tulli è legato anche alla Carline autosalone, la cui ex sede si trovava davanti al Tribunale di Milano. Gli uffici della Carline sono stati definiti «la base logistica della cosca». Qui più volte è stato fotografato lo stesso Giovanni Morabito.
Il rapporto tra il Samarani e la cosca Morabito non appare, però, un episodio isolato. Da qualche anno, infatti, piazza Diaz si è trasformata in uno dei luoghi privilegiati della 'ndrangheta. In particolare boss e luogotenenti sono abituali frequentatori degli storici night club della zona (El Maroco, Maxim, Top Town), dove governano un fiorente giro di prostitute di lusso. Proprio qui in piazza Diaz dove dall'81 c'è il monumento al Carabiniere: una grande fiamma opera dello scultore Luciano Minguzzi. Il tutto nella totale indifferenza delle istituzioni locali. E così, mentre il Comune di Milano si perde nelle decine di presunte emergenze, 'u pantufuluni gestisce i suoi affari seduto alla cassa del Samarani. Sempre vestito con abiti di Armani, batte scontrini e accoglie i clienti. Ogni tanto passa anche il presidente dell'inter Massimo Moratti che ama presentare i suoi nuovi acquisti proprio alla terrazza Martini. Passa solo per un caffè in un bel bar del centro. Peccato che questa onorabilità la 'ndrangheta l'abbia costruita su una montagna di cocaina.

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