LA PAGINA 3

L'addio a Sergio Piro

GIANNICHEDDA MARIA GRAZIA,

Si è fermata mercoledì notte la vita di Sergio Piro, per un infarto arrivato verso le undici e mezzo mentre lavorava al computer nella sua casa di Napoli. Negli ultimi anni, cercava di proteggere il suo cuore malandato che aveva subito due operazioni, ma non rinunciava a vivere con generosità, allegria e progetti. Lo scorso 27 maggio aveva fatto con una certa fatica la lunga scalinata che porta alla sala della Protomoteca in Campidoglio, dove si svolgeva la cerimonia di consegna del Premio «30 anni per la 180» istituito dalla Cgil. Tra i venti premiati, la standing ovation era stata per Agostino Pirella, per Sergio Zavoli e per lui, che si era presentato in maniche di camicia, una camicia azzurrissima come i suoi occhi, un po' perché faceva caldo ma anche perché non voleva assecondare la cerimoniosità: così, nel suo intervento aveva raccontato l'avventurosa costruzione, nei primi anni'60, della sezione Cgil nel manicomio di Materdomini, un'Opera Pia convenzionata con la Provincia di Salerno, ma aveva poi continuato con un'analisi puntuale e dura sulle politiche sanitarie recenti e soprattutto sull'università, che continuava a ignorare o a minimizzare i contributi teorici, le realizzazioni e le trasformazioni culturali che avevano preceduto e seguito la legge di riforma e avevano fatto uscire la psichiatria italiana dall'isolamento culturale del dopoguerra.
Di questi processi di modernizzazione e di trasformazione della psichiatria Sergio Piro è stato fin dall'inizio un protagonista. Era nato nel 1927, quasi coetaneo di Franco Basaglia (che era del '24) e i loro percorsi furono molto simili: entrambi avevano iniziato a lavorare all'università, alla fine degli anni'50 avevano conseguito la «libera docenza» secondo il sistema concorsuale dell'epoca ma poi erano andati entrambi a dirigere un manicomio pubblico: Piro al Materdomini di Nocera Superiore nel 1959, Basaglia a Gorizia nel '61. L'incontro tra i due, che divenne poi collaborazione e amicizia, risale a quegli anni di grande vivacità culturale e di sperimentazioni, condotte da gruppi di operatori in gran parte esterni all'università, respingenti, o quanto meno non attraenti per gli studiosi più vivaci e più presenti nel dibattito internazionale. In un libro del 1988, Cronache psichiatriche. Appunti per una storia della psichiatria italiana dal 1945 (Esi), Piro ricostruisce con l'accuratezza che gli era propria le vicende, i personaggi, le idee, gli incroci culturali di quel «periodo di modernizzazione», a cui seguì la fase «del mutamento» (tra il 1968 e il '78) che in Italia ebbe un percorso del tutto peculiare, in cui ebbero poco o nessun peso le ideologie «antipsichiatriche» di derivazione sia anglosassone che francese, mentre presero piede in molti ospedali psichiatrici processi di trasformazione che disturbavano e coinvolgevano comunità locali, movimenti sociali, amministratori pubblici, giornalisti, intellettuali, artisti. Sergio Piro in quegli anni continuò a scrivere - Il linguaggio schizofrenico e Le tecniche della liberazione vennero pubblicati da Feltrinelli nel 1967 e nel 1971. Nel 1974 fu tra i fondatori di Psichiatria Democratica, diresse per un breve periodo l'Ospedale Psichiatrico Leonardo Bianchi di Napoli (dopo essere stato costretto, nel 1969, a lasciare la direzione del Materdomini), e poi dal 1975 diresse l'altro ospedale psichiatrico di Napoli, il «Frullone».
Gli anni del dopo riforma sono stati molto difficili per Sergio Piro. La sua competenza e il suo carisma lo rendevano un interlocutore privilegiato quando si trattava di collaborare alla scrittura della legge regionale campana per l'attuazione della «legge 180», che venne approvata nel 1983 e fu tra le prime leggi regionali. Assai più duro fu invece il fronte della chiusura dei manicomi e della creazione dei nuovi servizi, dove lo scontro esplicito o la resistenza muta dei piccoli e grandi potentati di psichiatri e amministratori rendevano assai arduo il percorso verso un cambiamento vero, in Campania non meno che nel resto d'Italia, e talvolta di più. Sergio Piro ha resistito con grande coerenza. Ha insegnato molto sia all'Università di Napoli che all'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, ha continuato il suo lavoro di ricerca (Introduzione alle antropologie trasformazionali e Trattato della ricerca diadromico trasformazionale sono stati pubblicati nel 1997 e nel 2005 da La Città del Sole ), ha chiuso con troppa fatica l'ospedale psichiatrico «Frullone». Nel 1994, che fu un anno di svolta per il destino della riforma dato che la legge finanziaria del primo governo Berlusconi aveva reiterato l'obbligo di chiusura di quello che la neolingua psichiatrica definiva il «residuo manicomiale», Piro già dirigeva il Frullone dove erano stati ricavati, da alcuni reparti, degli appartamenti per le persone in via di riabilitazione. Il sistema fognario era però in condizioni pessime e grandi topi contendevano lo spazio ai ricoverati, mentre l'amministrazione si limitava a ignorare il problema. Piro, che era un grande estimatore dei gatti, ne portò una ventina e li presentò ai giornalisti come suoi collaboratori.
Il prossimo 7 febbraio, a Nocera, è stato promosso un incontro per ricordarlo, nella sala, che prenderà il suo nome, della Fondazione CeRPS ( Centro Ricerche sulla Psichiatria e le Scienze Umane). Gli amici e i suoi collaboratori chiedono a chi lo ha conosciuto di scrivere due, tre pagine, che saranno raccolte in un volume, perché possa restare, insieme alle cose che Sergio Piro ha scritto e fatto, la memoria del suo modo di essere, della sua capacità di coinvolgere le persone e di tenerle insieme per creare pezzi di mondo in cui tutti possano avere spazio, parola, dignità.

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