Il mais messicano è stato contaminato da Ogm. La conferma arriva da alcuni studiosi dell'Università autonoma del Messico (UNAM), a sette anni di distanza dalla prima denuncia di Ignacio Chapela, ricercatore all'Università californiana di Berkeley, che nel 2001 gli costò la cattedra e la reputazione.
In Messico ci sono circa 60 specie di mais. Oltre ad essere la principale fonte di sostentamento per la popolazione, il mais è oggi al centro di un forte interesse internazionale, al punto che sono state sviluppate norme ad hoc di biosicurezza a tutela della sicurezza alimentare. Tuttavia, lo sviluppo delle sementi transgeniche e le cattive regole del libero commercio ne minacciano l'integrità, tanto che si è cercato più volte di affossare studi che denunciavano casi di contaminazione genetica. Le prime informazioni risalgono al 2001, quando la rivista scientifica Nature pubblicò i risultati di una ricerca condotto da Ignacio Chapela, dell'Università californiana di Berkeley, che per la prima volta documentava l'infiltrazione di sementi transgeniche nella Sierra Norte de Oaxaca in due Stati, centri di origine della biodiversità del mais. Lo stesso governo messicano, allertato, confermò la scoperta: dai test condotti in 22 comunità, ben 13 presentavano il Dna transgenico con una contaminazione dal 3 al 10 %. Tutto ciò accadeva benché in Messico fosse in vigore una moratoria dal lontano 1998, e nonostante l'unica coltivazione di mais Gm si trovasse a 60 miglia di distanza. Gli scienziati ritennero che l'inquinamento genetico era dovuto all'arrivo in quelle zone di carichi di mais inviati come aiuti alimentari dagli Stati Uniti, poi utilizzati dai contadini per le semine successive. La pubblicazione dello studio fu un disastro per le aziende biotech, che a quel tempo cercavano di persuadere Messico, Brasile ed Europea a cessare il divieto di coltivazione delle sementi transgeniche. Da una parte del mondo scientifico arrivò allora un sorprendente attacco contro Chapela, che in poco tempo fu sospeso dall'università, mentre l'editore di Nature revocava la sua pubblicazione per insufficiente evidenza sperimentale, nonostante l'iniziale parere favorevole espresso dagli esperti incaricati di giudicare gli articoli. Qualche tempo dopo il giornalista George Monbiot scoprì che a lanciare la campagna denigratoria contro i ricercatori di Berkeley, il giorno della prima pubblicazione, erano stati due personaggi rivelatisi inesistenti, e che i messaggi di posta elettronica inviati provenivano dai computer di una società di relazioni pubbliche di Washington, la Bivings Group, che lavorava per la Monsanto. I falsi personaggi avevano scritto migliaia di e-mail dal sito web, riuscendo a persuadere parte della comunità scientifica dello scarsa attendibilità dello studio sul mais messicano. Oggi gli studiosi hanno confermato la contaminazione delle varietà indigene di mais in alcune delle località esaminate nel 2001, dichiarando che è urgente fissare criteri rigorosi di campionatura e monitoraggio proprio nelle regioni che sono culla mondiale della diversità biologica del mais. Per Ignacio Chapela giustizia è fatta.