POLITICA & SOCIETÀ

Il pestaggio del Blocco che nessuno ricorda

AULA MAGNA PIAZZA NAVONA Ecco come sono andate davvero le cose
RUSSO SPENA GIACOMO, MILANI STEFANOROMA

Anche se nessuno lo dice, o non lo vuole dire, tutto è cominciato la mattina. Mercoledì 29 ottobre, ore 9,45. Il Senato è già pacificamente «assediato» da centinaia tra liceali e studenti delle scuole medie, a manifestare contro il decreto Gelmini che da lì a poco verrà approvato. Quindici, sedici anni al massimo l'età dei ragazzi più grandi che scandiscono i soliti slogan, le solite rivendicazioni, sentite da giorni fuori dalla scuole e dalle università di mezza Italia.
Nella stessa ora, qualche chilometro più in là, un corteo è fermo a piazza Venezia, anche questo diretto verso Palazzo Madama. Ci sono i ragazzi del liceo ginnasio statale Pilo Albertelli e di altri istituti romani. Cinquecento in tutto. All'altezza dell'Altare della patria, dietro di loro, spunta un camioncino bianco, seguito da una trentina di ragazzi. Felpe nere, jeans, caschi in mano: sono i ragazzi di Blocco studentesco. Si aggregano al gruppone stando dietro. Si manifesta insieme in piena tranquillità. Si sentono solo i cori all'indirizzo del ministro Gelmini. E così per via delle Botteghe oscure, Largo di Torre Argentina, Corso Vittorio Emanuele. Ma l'armonia si spezza poco dopo.
Ore 10,30, il corteo è ad un passo da entrare a piazza Navona, quando il Blocco decide di non voler stare più dietro, pretende di avanzare. «Fateci passare, ora guidiamo noi», urlano dai megafoni. E con i megafoni spunta anche qualche tricolore, insieme ad un paio di altri vessilli con il loro simbolo, un lampo bianco su sfondo nero. È in quel momento che si accende la miccia. Alcuni studenti dell'Albertelli chiedono di ammainare le bandiere, «la manifestazione non è politica, state dietro», dicono. Ma invano, i ragazzi del Blocco non sentono ragione: vogliono la testa del corteo. L'acceleratore del camioncino va giù tentando di sfondare. Per mettere il «capello», come avvenuto qualche giorno prima al corteo dei medi, all'Onda anomala. C'è troppa gente però, e la viuzza che si riversa davanti il Senato è piuttosto angusta per il mezzo "pesante" che deve arrendersi a piazza Navona, parcheggiato ad una decina di metri dal Caffè Domiziano. Non molto lontano da quello dei Cobas che, fino a quel momento, era il palco degli interventi degli studenti. Il tutto mentre il decreto Gelmini diventa legge dello stato.
Se i manifestanti si organizzano con nuovi cori di dissenso, il Blocco decide di forzare. Di mettere il proprio camion al centro di Piazza Navona, al posto di quello della confederazione dei comitati di base. Gli attivisti neri si incordano e avanzano a spinta. Gli studenti medi provano a frapporsi. A fare muro. Ma è tutto inutile. Il Blocco carica stile stadio, sguainando le cinghie dai pantaloni e dando cascate chiunque capitasse sotto tiro. Qualcuno giura di aver visto anche qualche mazzetta di legno (non quelle con avvolto il tricolore usate da lì a poco). È panico. Qualche studente più coraggioso prova a resistere, aiutato da qualche attivista che si stacca dal camion dei Cobas, ma è tutto inutile. Blocco studentesco inizia una mattanza. «Mi hanno circondato e colpito ripetutamente - testimonia Valerio, uno studente di RomaTre - Sono caduto a terra e lì ho preso altri calci». Viene lasciato a terra, sanguinante. Portato all'ospedale Santo Spirito gli metteranno due punti in testa e gli diagnosticano un brutto ecchimosi all'occhio destro (avrà 10 giorni di prognosi). La gente attorno lo soccorre. Ma Valerio non è il solo che farà le spese della violenza nera.
Parte infatti a Piazza Navona, tra gli studenti spaventati che scappano, la caccia all'uomo. Contro chiunque abbia osato mettersi contro la «prepotenza nera». La caccia dura almeno 15 minuti. Dagli altoparlanti del camioncino dei camerati si infonde tranquillità. «Rimaniamo compatti, siamo tutti studenti. Stiamo qui contro la Gelmini», gridano i ragazzi del Blocco con le note di Rino Gaetano che gonfiano i subufer. Ma se il cielo è sempre più blu, la terra continua a tingersi di rosso. «Ho preso una bottigliata da dietro e almeno quattro colpi di casco», dice Maurizio che riporta ancora addosso i segni dell'aggressione.
Anche intorno al Senato è caccia all'uomo. Se ne accorgono tutti tranne la polizia. Una docente delle elementari che passava per via delle Coppelle vede un ragazzo, «tredici, quattordici anni al massimo» con la cinta in mano mentre insegue un suo coetaneo. Trenta metri più avanti, a piazza delle Cinque lune, scena analoga. Stavolta sono «due ragazzi più grandi, ma non arrivano a vent'anni. Uno ha una cinta, l'altro due caschi e li sbatte addosso alla schiena di un giovane che riesce a scappare». La signora prova ad urlare: «Ma che fate!». Non si vede un uomo in divisa nei paraggi. Solo un vigile urbano, anche lui ha visto la scena, «Bisogna chiamare la polizia», dice. A trovarla. Passa qualche secondo, poi finalmente fa capolino un gruppo di caschi blu. La docente racconta ad uno di loro quel che ha visto poco prima. «Rimanevano indifferenti, "so' ragazzate, stia tranquilla signora non si fa male nessuno" mi dicevano».
Le mazzate date da Blocco fanno, nel frattempo, il giro della città. «Cosa? Veramente i fascisti si sono presi la piazza a furie di aggressioni», dice un universitario esterrefatto, parlando al telefono con un concitato liceale che a piazza Navona sta assistendo ai pestaggi. Poi prende il megafono, per raccontare agli altri universitari in quel momento alla Sapienza cosa stia succedendo sotto Palazzo Madama. Scatta l'indignazione. Ma anche la rabbia. In giro di un'ora all'ateneo accorrono a dar manforte attivisti dei centri sociali capitolini. Poi la partenza per Piazza Navona: la metro a Termini fino al Colosseo, da dove parte un determinato corteo di 300-400 persone: «Siamo tutti antifascisti», scandiscono. Percorrono Corso Vittorio Emanuele «armati» solo di caschi (e nemmeno tutti), ma arrivati alle porte della piazza del Nettuno un cordone della polizia sbarra la strada.
Parte la trattativa coi funzionari di polizia e carabinieri. Poi all'improvviso le celere si toglie. «Ci avevano assicurato che i fascisti fossero andati via dalla piazza», riportano molti manifestanti. «Così siamo caduti nella trappola», aggiunge qualcun altro col senno del poi. La manifestazione universitaria si trova infatti nell'altra parte della piazza i militanti di Blocco schierati, come veri «combattenti» fascisti, in file. Gambe larghe, petto in fuori, testa alta e, soprattutto, mazze in mano. Aste di bandiere, di legno, lunghe un metro. A quel punto parte il contatto con il corteo partito dalla Sapienza che lancia oggetti: sedie dei tavolini dei bar circostanti, portaceneri e bottiglie. Tutto in maniera disorganizzata e soprattutto senza mazze. Cosa che invece utilizzano i neri. Cinque minuti di botte con la polizia, che ancora una volta rimane ferma a guardare. Per poi iniziare a caricare da dietro. Sia quelli di Blocco che gli studenti. «Stavo cercando di parlare con un funzionario per fargli rendere conto di cosa avessero combinato, quando mi hanno colpito con una manganellata», racconta Marco che qualche ora dopo si farà mettere sette punti in testa.
Durante l'intervento la polizia sembra conoscere bene gli attivisti di estrema destra che, quasi tutti fermati, vengono fatti sdraiare per terra. «Levati Francesco (Polacchi, il leader di Blocco, ndr), vai via, vai via», dice un funzionario di piazza al ragazzo vestito con camicia a righe e jeans. Che a sua volta gli risponde urlando «fermi, questi sono i miei ragazzi». È uno dei più concitati, fin dal mattino, in quella piazza. Dove tutto è cominciato.

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