CULTURA & VISIONI

Le radici del futuro ritrovano «Michael e il suo viaggio intorno al mondo»

MUSICA
LORRAI MARCELLO,VENEZIA

BIENNALE: KARLHEINZ STOCKHAUSEN E SERATA «ALTRE RADICI»
Nel dialogo fra «radici», le avanguardie storiche e «futuro», i nuovi sviluppi, a cui è intestata la Biennale Musica allestita dal neodirettore Luca Francesconi, martedì sera la parola, nell'anno che sarebbe stato del suo ottantesimo compleanno, è stata autorevolmente presa da Karlheinz Stockhausen. Omaggiato con la felice scelta di riproporre il secondo atto, puramente strumentale, il «viaggio di Michael intorno al mondo», di Donnerstag («Giovedì»), enucleandolo dall'insieme della prima giornata del monumentale ciclo Licht a cui il compositore tedesco cominciò a lavorare alla fine dei settanta. Musicalmente in pratica - per buona parte della durata - un brillante concerto per tromba solista (qui l'eccellente Marco Blaauw) e orchestra, Michaels Reise um die Erde guadagna dall'estrapolazione dal Donnerstag (di cui è indimenticata una certa pesantezza dell'allestimento originario, alla Scala nell'81), del resto assai impegnativo da riproporre nel complesso, e si offre come una pagina che merita di essere rimeditata autonomamente. Interessante notare i diffusi accenti della parte solistica che richiamano il jazz o la musica improvvisata (elaborati da Stockhausen col figlio Markus, primo interprete alla tromba del personaggio Michael e poi attivo, appunto, nel jazz); la qualità della musica si sfrangia solo nel finale, con l'ingresso in scena del corno di bassetto di Eva e il suo idillio con Michael. Realizzato in coproduzione con MusikFabrik, con la direzione di Lucas Vis, Michaels Reise si è giovato della regia della Fura dels Baus che, confrontandosi con una vicenda concepita da Stockhausen (la quale abbastanza esile, non offre troppi appigli), è riuscita a rendere il «viaggio» meno rigido rispetto all'allestimento originale. Piuttosto strampalata la serata successiva, quella di mercoledì intitolata «Altre radici». Rappresentava nel cartellone di questa edizione «Radici Futuro» della Biennale l'unica finestra aperta sulla musica tradizionale e sul jazz: due formazioni sarde, i Cantadores a chiterra de deris, de oe e de sempre (voci e chitarra), e il Concordu di Castelsardo (gruppo vocale maschile di canto a concordu), entrambi - come a dare prima il benvenuto e poi un saluto di commiato - in apertura e chiusura di una serata che incastonata in mezzo aveva una proposta, il trio del pianista Franco D'Andrea, del trombettista Fabrizio Bosso e del percussionista indiano Trilok Gurtu, che nulla aveva a che spartire con le tradizioni della Sardegna. Assortimento incongruo, tale da dare la sgradevole sensazione che, essendosi sentiti in dovere di pagare un tributo al jazz e alle musiche popolari, si sia poi voluto sbrigare frettolosamente due pratiche in una volta sola. Ma strampalato anche l'inedito trio, voluto non dai musicisti ma dalla Biennale: chiunque conosca D'Andrea e Gurtu avrebbe potuto scommettere che non ci sarebbe stato collante, e che in un trio con una tromba, senza neppure il punto di ricaduta di un contrabbasso, non ci sarebbe stata via di scampo. Nessuno dei due ha potuto dispiegare la propria estetica: lo stile ritmico e timbrico e l'istrionismo di Gurtu sono apparsi spesso pesantemente fuori posto, il superbo pianismo di D'Andrea si è trovato imprigionato in schemi non congeniali. Bosso, trombettista ferratissimo, ci ha messo un gusto non sempre impeccabile, per esempio in qualche passaggio abbastanza gratuito di utilizzo dell'elettronica sullo strumento. Ma invece di un matrimonio forzato non sarebbe stato più degno, semplicemente, il gruppo di Gurtu, o un gruppo di D'Andrea, o anche uno dei meravigliosi soli del pianista ?

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