POLITICA & SOCIETÀ

«Qui per Abba, Emmanuel e Said». E contro il pacchetto sicurezza

ROMA
SETTE GIACOMO,ROMA

Ad aprire la manifestazione uno striscione di dieci metri con la scritta «Stop razzismo». A tenerlo gli amici di Abba, Emmanuel e Said. Ragazzi vittime dell'intolleranza. Di certo la pioggia battente scesa ieri su Roma non aiuta ad aumentare i numeri del corteo, che comunque raggiunge almeno 10mila manifestanti, lanciato a giugno da Socialismo Rivoluzionario, Comitato 3 Febbraio e Partito Umanista e che ha visto nell'ultimo mese l'adesione di molte associazioni e partiti della sinistra (Prc, Pdci, Pcl).
Ma il valore in più della mobilitazione è la partecipazione degli immigrati. «Il governo col suo pacchetto sicurezza è responsabile dell'odio che si sta diffondendo nel paese», dice Aster, un amico di Abba, «i politici devono intervenire per evitare nuove stragi». Come quella raffigurata nell'immagine che mostrano ai fotografi un gruppo di ghanesi di Castelvolturno. «Per noi oggi (ieri, ndr) è un evento importante - dice Christopher - Quanto fatto dalla camorra è prima di tutto un massacro a sfondo razzista. Tra noi c'è chi sbaglia, ma in maggioranza siamo persone perbene, che lavorano e che cercano di mandare in Africa un po' di soldi a chi sta peggio».
Malgrado la pioggia che scende il corteo è determinato e rumoroso: ad animarlo un gruppo di camerunensi, vestiti con abiti tipici, che si mettono a suonare lo giambè e ballare. A metter colore ci pensa invece un gruppo di fiorentini, coi volti tutti dipinti, che starnazza canzoni dialettali. Intanto una donna somala di una cinquantina d'anni, e da quattordici in Italia, con il viso coperto col hijab e avvolta nella bandiera del proprio paese, urla a squarciagola contro la Bossi-Fini.
Come recita uno striscione, «un mondo libero è di tanti colori», il corteo è un vero e proprio meticciato. Se gli africani, quasi tutti sub-sahariani, occupano le prime file, subito dopo vengono gli spezzoni dei latini, la maggioranza sono donne con cartelloni con scritto «siamo noi che assistiamo i tuoi nonni», e della comunità cinese. Vengono dall'Esquilino, zona di Roma in cui sono maggiormente radicati. «Siamo per l'integrazione e fino ad oggi gli episodi di intolleranza verso di noi sono stati pochi ma ci auguriamo che non stia cambiando il vento», afferma Jixin riferendosi al raid razzista di qualche giorno fa a un suo connazionale a Torbellamonaca.
Più avanti un centinaio di curdi, tutti richiedenti asilo, sventolano la bandiera del Kurdistan, i pochi politici presenti (Russo Spena e Nieri per il Prc e Ferrando per il Pcl) fanno su e giù per il corteo e un ragazzo di Napoli si fa notare per il suo manifesto attaccato sul petto: «Io non mi sento italiano, meglio clandestino che razzista». Si conta anche qualche bandiera della pace. Dopo gli spezzoni degli immigrati, ecco quelli autoctoni. Con quelli di Sr e Comitato 3 febbraio che svettano come numero sugli altri. «Il governo ha inasprito la rabbia che cova anche nelle classi popolari, come dimostrano gli episodi di Milano e Roma», dice Renato Scarola di Sr che vede nella manifestazione «un inizio per costruire un movimento antirazzista capace di ricreare un tessuto di solidarietà nel paese».
Ma già a questo corteo è presente, in parte, questo associazionismo diffuso: convivenza, accoglienza e fratellanza sono le tre parole inflazionate in interventi e cartelli. Spiccano su tutti gli studenti, organizzati in un nutrito spezzone, che, col loro striscione «contro ogni razzismo contro la Gelmini», non perdono occasione per attaccare la ministra e i collettivi femministi. «Come donne - spiega Maria Luisa - vogliamo stessi diritti per tutti. Le ragioni dei migranti sono le nostre ragioni».

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