INTERNAZIONALE

Si salvi chi può, il piano affondato da 30 «ribelli»

AL CONGRESSO
TONELLO FABRIZIO

Se non ci fossero state le elezioni tra un mese, lunedì il piano Paulson sarebbe passato 198 a 197 alla Camera dei rappresentanti. I voti che hanno rovesciato la situazione (il conteggio finale è stato 228 «no» e 205 «sì») sono quelli dei 30 deputati che rappresentano circoscrizioni in bilico, dove gli avversari sono alla pari, o quasi nei sondaggi. Per non dare argomenti agli sfidanti sostenendo un piano impopolare, 17 repubblicani e 13 democratici hanno scelto di votare contro. Non a caso, sia la maggioranza contraria al piano dell'amministrazione Bush, sia la minoranza favorevole erano assolutamente trasversali: hanno votato per il salvataggio 140 democratici e 65 repubblicani. Sul fronte opposto, troviamo ben 95 democratici e 133 repubblicani.
Difficile dire se i 30 ribelli hanno deciso di ascoltare gli umori della gente e sfidare le leadership dei rispettivi partiti, o se invece si è trattato di puro opportunismo legato al timore di perdere il seggio. Probabilmente c'erano entrambe le cose, sta di fatto che in questo momento Washington appare una capitale priva di governo, con un Presidente a cui nessuno bada (Bush ha parlato quattro volte alla nazione negli ultimi sei giorni), due candidati alla Presidenza che si tengono prudentemente alla larga, sostenendo il salvataggio ma senza impegnarcisi troppo, un ministro del Tesoro che non ha opzioni alternative a quella respinta dal Congresso, una banca centrale che ha già pompato liquidità nel sistema come mai avvenuto in precedenza, i due leader della maggioranza democratica alla Camera e al Senato che palesemente non sono in grado di disciplinare le loro truppe. Repubblicani e democratici, che negli anni di Bush erano diventati partiti molto coesi, fortemente ideologizzati, compatti nel loro comportamento parlamentare, nella crisi sono tornati ad essere coalizioni fluttuanti di deputati e senatori con l'occhio incollato ai sondaggi e alle loro prospettive di rielezione. I tempi d'oro del neoliberismo come ideologia sono finiti nella spazzatura ma ciò che l'establishment offre per sostituire la fede cieca nel mercato - il socialismo dei banchieri - non piace né a destra né a sinistra. Sono i giorni del «Si salvi chi può».
Il gruppo più compatto sono indubbiamente i talebani di Milton Friedman, i repubblicani disposti a seguire l'ideologia del libero mercato fino all'autodistruzione: quei 133 deputati che hanno votato «no» come sfida agli aiuti di Stato e all'intervento del detestato governo, quello stesso governo federale che nell'ultimo mese ha dovuto salvare Fannie Mae, Freddie Mac, Bear Sterns e perfino le assicurazioni AIG (che non sono una banca e non hanno mutui in sofferenza, quindi se volete sapere perché il governo è intervenuto dove chiedervi quali rapporti legano AIG a Goldman Sachs). I talebani hanno creato la crisi, lasciando proliferare strumenti finanziari probabilmente concepiti da qualcuno che si crede Napoleone e abita in una stanzetta bianca tutta imbottita, poi hanno cercato di usarla per fare del ministro del Tesoro il dominus assoluto della vita economica americana (il piano di Paulson, nella sua versione iniziale, gli avrebbe dato più poteri di quanti ne abbia mai avuti Gorbaciov) e hanno tentato di farne un'arma per salvare le loro campagne elettorali con un po' di populismo d'accatto. Non ha funzionato. Le prospettive elettorali di McCain e di buona parte dei deputati e senatori repubblicani sono in questo momento simili a quelle dell'equipaggio del Titanic dopo l'incontro con l'iceberg: non sono ancora precipitati nell'acqua gelida ma la nave non può essere più salvata.
C'è solo da sperare che i democratici non si facciano prendere dallo zelo e accettino un piano ancora peggiore di quello bocciato lunedì, un piano che rimaneva quello di Paulson con concessioni puramente simboliche. Se vogliono dare un segnale positivo ai mercati, aiutare le famiglie in difficoltà e vincere le elezioni, la ricetta è una sola: approvare con i loro voti, visto che hanno la maggioranza in Congresso, un piano che metta le famiglie al primo posto, faccia pulizia nelle stalle di Augia della finanza creativa e convinca gli americani che l'era Bush è veramente finita.

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