Latte contaminato, 54 mila bambini intossicati, 4 morti, paura che dilaga un po' ovunque. Alcuni paesi asiatici e africani, per non sbagliarsi, hanno bloccato l'importazione di latte cinese. Starbucks, in Cina, vende solo latte di soia. I media cinesi ne parlano, il Governo si barcamena tra rivelazioni e proteste e prepara il terreno a una nuova resa dei conti interna. Storie da capitalismo dei disastri, da Cina del 2008: mercato, speculazioni, controlli e vittime, le solite. Scandali annunciati, come la debolezza architettonica delle scuole del Sichuan o l'attuale disastro del latte contaminato. E rese dei conti alla cinese. L'ultima notizia è che Li Changjiang «si è dimesso con il consenso del governo dopo che i prodotti contaminati hanno provocato l'ospedalizzazione di circa 13.000 bambini, e la morte di quattro di loro». Li Changjiang era il capo dell'amministrazione cinese deputata al controllo sulla qualità. Si è dimesso e ora si ritrova tutto solo a coltivare la speranza che basti così. Politicamente è finito, ma i guai per lui potrebbero essere anche più grandi. Perché la sua funzione è una delle più rischiose: nel luglio del 2007 Zheng Xiaoyu, 63 anni, l'ex capo dell'agenzia per i controlli igienico-sanitari è stato giustiziato, con l'accusa di corruzione. Aveva intascato soldi per sorvolare nei controlli su medicinali e alimenti. Anche allora a morire toccò ai bambini. Tutto cominciò mesi fa quando in una delle aziende che producono latte in polvere vennero segnalati casi di analisi allarmanti. Una emittente televisiva dello Hunan denunciò l'alto numero dei bambini ricoverati per problemi renali. Avevano unito i puntini, ma l'ordine da Pechino fu perentorio: silenzio. A pochi giorni dai Giochi, altre denunce e ammissioni, ma il copione fu lo stesso. Infine, quando il latte messo in commercio ha iniziato ad avere i suoi terribili effetti in modo massificato ecco le prime notizie, seguite ai primi ricoveri. Il mondo del web ha aperto le porte su una terribile vicenda, sulla quale il Governo di Pechino ha provato a metterci lo zampino. Ma presto tutto è venuto a galla. Si deve a Jian Guangzhou, un reporter di Shanghai, la prima accusa ufficiale nei confronti di un'azienda, la Sanlu, della provincia dell'Hebei, partecipata anche dalla neozelandese Fonterra. Questi ultimi hanno subito preso le distanze: Andrew Ferrier, amministratore delegato del gruppo ha dichiarato: «facciamo controlli rigorosi, non escluderei un sabotaggio». L'azienda cinese, decisamente più invischiata, prima ha nicchiato, poi è stata travolta dallo scandalo. Non bastano le scuse al popolo cinese: una ventina di arresti, tra i quali figurano i manager e l'amministratore delegato del gruppo. I nuovi mostri hanno aperto le edizioni di molti quotidiani cinesi: Zhang Zhenlin, vice presidente di Sanlu, è ritratto a capo chino, in gesto di scusa, con la cravatta a ballargli davanti, tra il macabro e il ridicolo. E giorno dopo giorno crescono le novità: alla Sanlu sarebbero stati sequestrati circa 10 tonnellate di latte contaminato. Dopo i dirigenti è il turno dei politici, in un crescendo, perché le sorprese non finiscono lì: il 18 settembre il Dongguan Times annuncia che il vice governatore dello Hebei sapeva tutto. È l'ultimo passaggio di un terremoto politico della regione e del suo capoluogo Shijiazhuang: licenziati Ji Chuntang, il vice segretario del partito e alcuni uomini dell'amministrazione locale sui controlli di qualità. E l'aria si fa ancora più tetra. Con i giorni aumentano i ricoveri, le morti e le novità: non si tratterebbe solo del latte in polvere, ma anche di quello liquido, degli yogurt. Non solo: non sarebbe solo la Sanlu l'azienda a speculare con il ricco commercio del latte in polvere. Ce ne sarebbero altre, tra le quali lo sponsor olimpico (che avrebbe dovuto fornire il latte proprio al villaggio degli atleti) Yili e i brand Mengniu e Shanghai Bright Diary. Prodotti e marchi cinesi, dal marketing aggressivo e aiutato da molte star. Queste ultime, respirata l'aria, hanno immediatamente comunicato le loro decisioni. Liu Guoliang, mister della nazionale cinese di ping pong e testimonial di Yili, ha già fatto sapere che devolverà alle vittime i suoi introiti pubblicitari macchiati dalla vergogna. A quel punto lo scandalo è divenuto inarrestabile e la Cina ha messo in campo i suoi leader. Wen Jiabao, una stagione a correre qua e là per tappare le falle del sistema cinese, almeno mediaticamente, ha fatto visita agli ospedali (come già nei luoghi tempestati dalla neve o dal terremoto), si è fatto fotografare e annunciato la strategia del governo: «mai più simili scandali». E mentre ai media si chiedeva di prendere per buone solo le agenzie governative, la faccenda si allargava: sarebbero 22 su 100 le aziende coinvolte nello scandalo del latte, mentre da Hong Kong sono giunti sospetti anche sulla Nestlè, che ha immediatamente ritirato un suo latte Uht dal mercato asiatico, pur assicurando circa il rigore dei propri controlli. Dopo la sbobba olimpica un'altra bella gatta da pelare per il governo cinese. Il 2008, alla faccia dell'armonia, andrà in archivio come l'anno dei disastri e dei disordini, nel trentesimo compleanno delle «riforme»: non solo neve e terremoto, proteste in Tibet e attentati in Xinjiang. Secondo fonti riportate dal Guardian ci sarebbero state almeno 90 mila proteste nel corso dell'anno. La causa nella maggior parte dei casi sarebbe la corruzione dell'apparato dirigente del partito.