Quando Cicely Isabel Fairfield si presentò presso la redazione del settimanale femminista «Freewoman», il periodico nato per dare voce al movimento delle suffragette, aveva poco più di diciannove anni. Alle sue spalle, però, lasciava già una breve, quanto intensa carriera da poetessa dilettante.
Proprio in quel periodo, all'incirca attorno al 1910, la Fairfield fece conoscenza di quello che, tra alti e bassi, per dieci anni divenne il suo compagno di vita: Herbert G. Wells. Per quanto contrastato, il suo rapporto con l'autore dell'Isola del dottor Moreau e dell'Uomo invisibile la segnerà per sempre, anche se sarcasticamente, a relazione oramai finita, lei descriverà l'ex compagno come «una vecchia zitella smarrita tra i romanzieri». Anticonformista, libera nei gusti e incurante delle conseguenze delle proprie scelte, un paio di anni prima Cicely Fairfield si era avvicinata alla scena teatrale, studiando all'Academy of Dramatic Art e tentando una veloce quanto sfortunata carriera di attrice. Eppure, nonostante il fallimento, fu proprio lavorando in teatro che la Fairfield prese la decisione forse più importante di tutta la sua esistenza: dedicarsi al giornalismo e cambiare il proprio nome con quello di Rebecca West, l'eroina di Rosmersholm, il dramma di Henrik Ibsen interpretato anche da Eleonora Duse, al Teatro della Pergola di Firenze il 4 dicembre 1906, in un celebre allestimento curato da Gordon Craig.
Libera di scegliere
Nata nel 1892, da madre scozzese e padre irlandese, Rebecca West era cresciuta tra la Scozia e l'Inghilterra. Proprio al carattere scozzese, la scrittrice attribuirà la sua riconosciuta verve da polemista. Un talento polemico che, in pochissimo tempo, riuscì ad aprirle le porte di importanti giornali - da The Star, Daily News, a New Statesman - che se la contesero come collaboratrice. Il ruolo più importante, però, fu quello ricoperto al Clarion, una rivista socialista di cui la West divenne caporedattrice. La capacità di cogliere per tempo gli avvenimenti politici più importanti, l'acume e la scioltezza della scrittura uniti al suo impegno civile sancirono per lei un successo che si rivelerà duraturo. I suoi corsivi e i suoi commenti, segnati da una buona dose di ironia, le permisero inoltre di distinguersi dagli autori più «intellettualistici» del periodo, meno coraggiosi nel prendere posizioni non sempre popolari in vicende di rilevanza internazionale.
Nel 1913, il suo saggio The Sterner Sex suscitò un certo interesse nel mondo delle lettere, ma è solo nel 1933 che Rebecca West riuscì ad affermarsi oltre che che come giornalista, anche come «attivista» per i diritti delle donne, «ruolo» che le stava particolarmente a cuore. Nel '33, infatti, apparve A Reed of Steel, un ritratto di Emmeline Pankhurst, figura chiave delle suffragette, nel quale la West, però, avanzava qualche diffidenza verso la politica espressa dal movimento per i diritti civili e politici delle donne noto come «Pankhurst's Women's Social and Political Union». Come giornalista, Rebecca West scelse di focalizzare i propri interessi principalmente sulla politica estera, dedicando particolare attenzione alle ripercussioni dell'«affaire Dreyfus», alla rivoluzione russa del 1917 e - dopo la Seconda guerra mondiale, come confermano le sue inchieste e le testimonianze raccolte al processo di Norimberga - per la denuncia di «genocidi e crimini di massa».
I suoi articoli rivelano sempre un piglio appassionato e militante, che nei suoi ricordi autobiografici la scrittrice ricondurrà agli insegnamenti «progressisti e democratici» del padre giornalista. Comunque sia, l'entusiasmo e la passione per la Rivoluzione d'Ottobre in lei ebbero vita breve, sostituiti presto da altri entusiasmi e da altre simpatie. Entusiasmi che - come nel suo sporadico e a tratti maldestro appoggio al maccartismo - le attirerarono non poche critiche, che cresceranno in maniera proporzionale al suo successo. In pochi anni, infatti, la West riuscì ad annoverare collaborazioni con testate prestigiose, del calibro del New Yorker, New Republic, del Sunday Telegraph e dell'Herald Tribune e The Bookman. L'intensa attività giornalistica, però, non le impedì di dedicare spazio e tempo alla stesura di numerosi libri, fra i quali spicca lo straordinario diario di viaggio nei Balcani, pubblicato nel 1942 con il titolo Black Lamb and Grey Falcon. Opera intrapresa cinque anni prima, Black Lamb and Grey Falcon è la minuziosa quanto preziosa descrizione della storia e della tradizione di un territorio ricco di fascino e tutto sommato poco conosciuto dai lettori di lingua inglese. In novecento, densissime pagine l'autrice riesce nella non facile impresa di restituire quel fascino e quelle tradizioni in tutta la loro complessità, con il respiro degno dei più grandi reportage del Ventesimo secolo. Città e campagne della Serbia, della Macedonia, della Croazia, del Montenegro, ma anche di Slovenia e Kosovo sono percorsi da uno sguardo capace di cogliere in un solo movimento il presente e il passato, offrendo al tempo stesso un'analisi precisa e puntuale e una ampiezza di riferimenti tale da rendere l'opera ancora utile per la comprensione di una vicenda, quella balcanica, ferita da secoli di guerre e divisioni. Pubblicato nel 1941, durante l'occupazione nazifascista dei Balcani, il titolo del reportage allude alla ballata del falco grigio e narra la storia del profeta Elia che, alla vigilia della battaglia del 1389, sotto le sembianze di un rapace, arriva nel Kosovo al cospetto di Zar Lazar, il condottiero dei principi cristiani, per portargli il proprio vaticinio sulla guerra che si appresta a condurre.Di casa nei salotti e ai ricevimenti dell'intellighenzia del Regno Unito, divisa tra onorificenze conferite come giurata e premi letterari di grande prestigio ricevuti come autrice, Rebecca West spese gran parte della propria vita per portare a termine i suoi ambiziosi progetti letterari, ma non trascurò neppure la più divertita mondanità. Amante e compagna, per un certo periodo, di Charlie Chaplin e del magnate delal carta stampata Max Beaverbrook, oramai giunta all'apice del proprio successo, soltanto due anni prima della morte avvenuta il 15 marzo del 1983, Rebecca West accetterà la sfida di interpretare se stessa nel film di Warren Beatty, Reds.
Diversamente da quanto successo nei paesi di lingua inglese, per molti anni Rebecca West è stata quasi completamente ignorata dall'editoria italiana. Solo di recente, grazie alle scelte della casa editrice torinese Edt che ha pubblicato in più volumi il suo reportage Viaggio in Jugoslavia, alla Tartaruga che nel 1994 ha dato alle stampe Il sale della terra per la cura di Maria Del Sapio Garbero e, soprattutto, grazie a Mattioli 1885 la rotta sembra essersi invertita. Dopo il romanzo breve Parthenope (traduzione di Francesca Frigerio, pagine 86, euro 7), infatti, la Mattioli ha da poco mandato in libreria un lavoro chiave nella bibliografia e per la comprensione della West, La Famiglia Aubrey (pp. 430, euro 20).
Musica di famiglia
Scritto nel 1956, The Fountain Overflows - questo il titolo originale - è il primo volume di una trilogia che comprende This Real Night e Cousin Rosamund, usciti postumi rispettivamente nel 1987 e nel 1988. La traduzione efficace e raffinata di Francesca Frigerio rende finalmente giustizia allo stile della West, ridotto, tagliato, eccessivamente semplificato dalla precedente edizione del volume, risalente al 1958, e pubblicata dalla Sugar nella versione di Ada Salvatore. Come osserva la Frigerio nella sua postfazione, l'edizione della Sugar apportava tagli e semplificazioni decisamente poco funzionali alla ricchezza e alle sfumature di un testo dalla straordinaria vivacità espressiva e dalla policromia sorprendente, nascondendone la varietà delle descrizioni e la complessità dei personaggi. Opera in gran parte autobiografica, la stesura della Famiglia Aubrey impegnò l'autrice per molti decenni e gli avvenimenti descritti risultano calcati sulla scansione cronologica e dei luoghi che segnarono la sua «educazione sentimentale» in corso d'opera. Già all'inizio del romanzo è la piccola Rose - voce narrante facilmente identificabile con la stessa West - a informarci che la famiglia è impegnata nell'ennesimo trasloco. Una famiglia che non teme gli spostamenti, quella della piccola Rose, e che si ritrova a passare da Edimburgo a Londra, seguendo le tracce del padre, giornalista di una qualche ambizione, con la passione sconsiderata per il gioco e imprecisate velleità autoriali. La madre Claire è una pianista di talento, ma anche una donna dalla pazienza infinita. È proprio lei, infatti, a rappresentare il cuore della famiglia attorno a cui gravitano le figlie Cordelia, Rose e Mary - tutte e tre musiciste - e il piccolo Richard Quin. Nonostante le difficoltà economiche, con sforzi che la West non esita a definire immani, la madre si accollerà l'onere di assicurare alla famiglia un'esistenza decorosa.
È attorno a questo cerchio familiare che ruotano le presenze, costanti nel romanzo, della cugina Constance, di Rosamund e di tutta una pletora di personaggi che si susseguono, entrando e uscendo dall'incantato «mondo Aubray». Tutti più o meno consapevoli di toccare un «mondo altro», forse più vicino al cielo che alla terra dei «grandi». Il segreto delle sorelle Aubray è nascosto nelle stanze segrete della loro fantasia radiosa, tra le pieghe di una storia «a misura di bambina» che la West racconta con grazia e misura. Nonostante le mille difficoltà della famiglia, colpisce la fierezza di Rose nel descrivere persino nei movimenti più intimi l'emozione e l'orgoglio di coltivare la musica come una passione per cui dare la vita.
Le ore migliori del giorno e de la notte vengono consumante in lunghi esercizi, ma quasi senza sforzo, come se tutto in fin dei conti non fosse altro che un gioco o un dono. Tutti i personaggi, in questa sorta di «autobiografia corale», suonano. Dalla madre Claire, pianista di fama nonostante l'abbandono delle scene, alla figlia Cordelia, tenacemente attaccata alle corde del violino, benché priva di talento, fino a Rose, pianista in erba, e Mary, destinata al successo. Ma suona anche il solo maschio di famiglia - il padre è quasi assente dalla scena - ovvero il fratellino Richard, flautista dotato ma solo per divertimento, giocatore di cricket, veloce risolutore di problemi di logica matematica.
Una gioiosa disciplina
La musica, per le sorelle Aubray è come una sfida da combattere ogni giorno con disciplina, ma soprattutto un insegnamento alla riuscita nel mondo, non in termini di successo, ma di condotta etica e «resistenza» morale. È grazie alla musica che tutto avviene, perché la vita ha senso viverla solo dentro ai sogni, e mai dietro alle convenzioni, ai conformismi borghesi, alle aspettative che si «addicono» all'essere donna.
Ricca di rimandi temporali, di continui passaggi tra il reale e l'immaginario descritti minuziosamente e annotati con una felicità rara e priva di cadute o di smagliature, la storia delle sorelle Aubrey è in grado di restituire al lettore una trama incredibilmente aperta, quasi «postmoderna», se si considera il periodo in cui fu scritta. Nel regno delle infinite possibilità delle sorelle Aubray, sorrette dallo sguardo inesausto della madre, appoggiate all'affetto più o meno interessato di amici, parenti e conoscenti, c'è sempre una via di fuga. Come se nell'infanzia, la West intravvedesse una lente diversa da cui sbirciare per liberare lo sguardo oltre il giardino di un mondo altrimenti in frantumi.