CAPITALE & LAVORO

Manovra d'estate: politica economica molto pericolosa

GOVERNO BERLUSCONI
ROMANO ROBERTO,

La crisi economica mondiale sta condizionando la crescita dell'Italia. Sono in molti a ritenere questa crisi (internazionale) molto più grave di quella che si può osservare dalla sola minore crescita del reddito. Inoltre, gli organismi internazionali preposti a dare delle risposte, così come altri organismi intermedi, sono indiscutibilmente più deboli. In qualche modo si riaffaccia un insegnamento di Einaudi, ovvero che il mercato non può esistere senza altre istituzioni. Si osserva una sorta di eccesso di potere del mercato che non può essere risolto con più regole o liberalizzazioni, piuttosto dalla creazione-rafforzamento di uno o più organismi capaci di controbilanciare questo eccesso di discrezionalità del mercato. A ciò occorre aggiungere che lo stato nazionale è più debole, e quando decide di adottare manovre anticicliche queste sono del tutto inadeguate.
L'Europa sarebbe un ambito ideale per realizzare delle manovre economiche anticicliche, ma la logica nazionale è difficile da superare. Un conto è immaginare una manovra economica europea che muova 1-2 punti pil europeo, e un altro sono i multipli di 1-2 punti di pil per singolo stato. Forse si muovono maggiori risorse finanziarie complessivamente, ma l'impatto economico è minore di quello che sarebbe necessario. Purtroppo in Europa non ci sono più grandi leaders politici per immaginare un ruolo attivo dell'Europa e del parlamento europeo, ma alcuni Stati cominciano a prefigurare delle misure che, pur partendo dal proprio territorio, vedono nell'Europa un orizzonte. Per esempio la Merkel ha duramente criticato il modello finanziario anglosassone e suoi criteri di regolamentazione, fino a prefigurare un nuovo ruolo per la Ue in contrapposizione al sistema economico-finanziario anglo-americano (Joseph Halevi, il manifesto 12-06-08). Ma l'aspetto più interessante della Merkel è il rilancio dell'industria come una condizione ineluttabile per trovare «stabilità».
In Italia, invece, una politica economica non c'è. A guardare i provvedimenti economici del governo Berlusconi è difficile trovare una linea e individuare nelle misure di Tremonti una qualche organicità. Nel 2001 era chiaro l'obbiettivo: l'alleggerimento della pressione fiscale e la precarizzazione del mercato del lavoro. Le misure adottate con il decreto legge 112 e la cancellazione dell'Ici appena insediato il governo, con il blocco delle addizionali per regioni e comuni, sono misure per lo più ideologiche, senza un orizzonte o un punto di arrivo, almeno che non si intenda per punto di arrivo il contenimento della spesa pubblica, ma ciò non può essere classificata come politica economica; forse una sua frazione.
La stessa composizione della manovra correttiva, pari a 36 mld di euro per il triennio, è composta da una tale quantità di obiettivi che inficia la sua credibilità. Tra le misure non si osserva una priorità, un punto di arrivo o di caduta. La stessa proposta di rilanciare il nucleare è all'interno di una lunga serie di misure da intraprendere. Fu proprio il primo Tremonti, assieme a Baldassare, a sostenere che per avere una qualche efficacia sul sistema economico la manovra economica doveva avere non solo degli obiettivi chiari, ma anche delle risorse adeguate. Se non si destina almeno lo 0,5% del Pil su un obiettivo è difficile immaginare un qualsivoglia impatto. A leggere i provvedimenti di Tremonti non si osserva nessuna scelta strategica, come se il Ministro fosse in oggettiva difficoltà a trovare i provvedimenti adeguati per rispondere alla crisi. Si offrono dei simulacri di politica economica: gli imprenditori hanno avuto la loro piccola parte; il popolo del nord la prospettiva del federalismo fiscale; i cittadini la «sicurezza»; i poveri la credit card. Provvedimenti inutili dal lato della politica economica, ma efficaci per assecondare i tanti e i troppi corporativismi italici. Ma nessuna di queste misure farà uscire dalla crisi il Paese.

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