TELEVISIONI

Il sud siciliano confezionato in una salsa «Agrodolce»

SOAP ALL'ITALIANA
DEL SETTE LUCIANO

Il tormentone è iniziato da un paio di settimane sulle reti della tv di stato: una manciata di secondi di immagini, una voce femminile che gorgheggia Agrodolce, amore miooo, uno speaker accattivante che chiude annunciando «Agrodolce, i sapori del romanzo popolare». Manca un mese esatto (debutto l'otto settembre, su Raitre) alla partenza di una soap opera per modelli e modalità narrativi, ma anche di un piccolo di kolossal per numero di puntate (230 nel primo anno) e sforzo produttivo. Deus ex machina di Agrodolce Giovanni Minoli, che tredici anni dopo l'esordio e il successo di Un posto al sole, sempre lì e sempre seguitissimo alle 20 e 30, torna a puntare ancor più decisamente il suo timone produttivo e creativo verso sud. Se Un posto, infatti, si svolge a Napoli, Agrodolce scende in Sicilia, a Termini Imerese, ex patria industriale della Fiat, ventre di una Sicilia dove la disoccupazione e la precarietà sono storia vera quotidiana. E se, sempre in Un posto, l'intreccio delle vicende personali con le tematiche sociali aveva come confini quelli di una città, in Agrodolce il paese «inventato» di Lumera ripropone analogo intreccio, divenendo però luogo simbolo di una regione intera. Nella realtà dei fatti, la nuova avventura di Rai Fiction e Rai Educational, in collaborazione con la Regione Sicilia - Dipartimento dei beni culturali, realizzato dalla Einstein Fiction, duemila metri quadrati di studi per gli interni, vede all'opera venti attori protagonisti, un'ottantina in ruoli secondari, un migliaio di comparse, sei registi, 250 fra sceneggiatori, tecnici e personale organizzativo. Metà delle forze in campo sono siciliane, e l'intento aggiuntivo è di formare professionalità locali per un futuro Centro di produzione televisiva. Cinque episodi registrati a settimana rappresentano una buona palestra di addestramento. Agrodolce, a differenza di Un posto al sole, che nasceva sulle basi di un format australiano poi fortemente modificato da Minoli, è una «creatura» tutta italiana, alla cui realizzazione sono stati chiamati alcuni artefici del successo di Un posto: Michele Zatta, creatore delle basi narrative e responsabile delle sceneggiature, con la consulenza dello scrittore Roberto Alaimo; Ruggero Miti, autore anche de La squadra (altra fortunata serie di Raitre); Alessandro Calosci, delegato alla produzione dalla Einstein, autentica firma in questo settore con film di Faenza, Olmi, e La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana; i direttori della fotografia Nino Celeste e Giovanni Brescini, veterano della serie di Don Matteo. La regia sarà a firme alterne, con Claudio Norza per il primo blocco e Stefania Girolami tra le altre. Musiche di Andrea Guerra, Olivia Selleria voce cantante della sigla. Agrodolce avrà altri tratti distintivi dalle soap nella tecnica delle riprese e del montaggio, prettamente cinematografica, nella bellezza degli esterni e nella ricchezza dalle scenografie degli interni, realizzate da Biagio Fersini. La trama adesso. O meglio l'avvio della vicenda, dato il fiume di puntate che ci aspetta. Tutto inizia con il ritorno a Lumera di Lucia Serio, laurea di medico conseguita in Inghilterra, figlia del potente Carmelo, padrone di ricchezze sospette. Ad attenderla ci sono l'eterno e blasonato fidanzato Federico Ruffo d'Altavilla, figlio di Cosimo (interpretato dal principe Giuseppe Lanza di Scalea), e l'amica del cuore Lena Cutò, professoressa di scuola media, che nella scuola come strumento di recupero e inserimento di ragazzi «difficili» crede ancora. Ben presto Lucia dovrà cominciare a fare i conti con una realtà dura, di cui si era dimenticata. Questa realtà, ed è il punto di forza che Agrodolce mette in gioco sul piccolo schermo, è costituita e costruita su avvenimenti personali come nelle migliori soap, ma anche, e molto, da tematiche quali il lavoro, qui rappresentato dal mestiere di pescatore di Turi Granata e di tutore dell'ordine «al confine» dell'ispettore Stefano Martorana; l'emarginazione sociale, un alunno di Lena, e Tuccio, sulle spalle un passato recente in galera; l'integrazione che, l'esempio viene dal poliziotto Rashid, siciliano di nascita da genitori maghrebini, vuole dimenticare a tutti i costi le proprie origini; l'handicap di Ermanno Granata, mente infantile nel corpo di un adulto; le mafie locali, con gli affari poco puliti di Carmelo Serio; la fatica di essere donna in Sicilia, in una casa modesta come quella di Peppa, moglie di Turi, o dorata come nel caso di Beatrice Serio e della nobile Veronica Ruffo. Poi, e non potevano certo mancare, ci sono i figli: inquieti, problematici, orfani di madre. Insomma: gli ingredienti della salsa in agrodolce cucinata da Minoli e dai suoi collaboratori ci sono tutti. Adesso non rimane che assaggiarla. Per capire se ha il giusto sapore.

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