LETTERE

Il comunismo non è finito

GIANNINI FOSCO

La borghesia è contro Paolo Ferrero. I cultori del nuovismo diranno che questo è un incipit d'altri tempi. Ma i tempi non cambiano di giorno in giorno, come credono i nuovisti e questo tempo è ancora pienamente segnato dall'esigenza dei padroni di controllare tutto: profitto, potere, senso comune di massa.
Il rilancio di un partito comunista autonomo, di una Rifondazione di lotta, infastidisce non poco la classe dominante, che crede sempre, idealisticamente, di aver azzerato per sempre il conflitto, addomesticando i rappresentanti transeunti della classe.
Perché tanta apprensione?
La risposta dei media borghesi alla svolta del Prc è stata davvero di straordinaria ed inattesa intensità negativa: identitari, settari, nostalgici, velleitari. Ma perché tutta questa apprensione? Il comunismo non era morto per sempre? Non si era ridotto - nella migliore delle ipotesi - ad una tendenza culturale, così come Fausto Bertinotti aveva garantito al capitale? E allora perché il neosegretario Paolo Ferrero viene vissuto come un nuovo spettro che si aggira per l'Italia?
Forse perché è la stessa classe dominante a percepire che il sorriso da squalo di Silvio Berlusconi non garantisce un «ordine nuovo» di lunga durata? Che le enormi contraddizioni sociali sono lì lì per esplodere, che la destra non è sicura di poter ancora per molto canalizzare verso sé il crescente malessere popolare?
Sì, è per questo: la borghesia (i suoi partiti, i suoi media, le sue diverse ancelle) teme che la svolta del Prc abbia un senso, che davvero possa incrociare e mettere a valore il disagio di massa, trasformarlo in lotta organizzata e di massa.
Il problema è capire perché sia partito un attacco a Ferrero, segnato da una acrimonia persino peggiore di quella borghese, da parte di Nichi Vendola (un'acrimonia molto simile, per altro, a quella di Walter Veltroni e della Sinistra democratica).
La posizione di Ferrero
Ma insomma, cosa dice di tanto inquietante Ferrero? Dice che l'odierno strapotere del capitale e gli odierni rapporti di forza sociali non permettono automaticamente vie neo keynesiane e che nessun padrone vuol regalarti, se non costretto dalla forza sociale, una parte, seppur minima, del suo profitto.
Dice, Ferrero, che occorre, in virtù di questo stato di cose presenti, passare decisamente all'opposizione, tornare alla lotta, schierarsi a fianco del movimento operaio complessivo per recuperare i perduti rapporti di massa e mutare i rapporti di forza sociali. Anche per evitare un nuovo cretinismo parlamentare e la morte sociale del Prc. Aggiungendo che sarà bene, per dare corpo alla linea di lotta, costruire un'unità d'azione con gli altri soggetti comunisti, anticapitalisti, antiliberisti e di movimento, ridando respiro sociale all'iniziativa di Rifondazione Comunista.
Chi, nella sinistra non moderata, potrebbe ragionevolmente dissentire dal nuovo segretario di Rifondazione comunista? Per poter dissentire, infatti, Vendola e Fava sono obiettivamente costretti a scegliere altri terreni ove sviluppare la critica, pericolosamente adiacenti a quelli di Massimo D'Alema e de la Repubblica (il quotidiano già organo della transizione occhettiana): così che la svolta del Prc diviene tutta «falcemartello», dogmatismo e ideologia. Persino stalinismo.
Il fallimento della conciliazione
Il paradosso è che l'accusa vola assieme ai nuovi soldati italiani in Afghanistan; sulle basi americane di Vicenza e Sigonella; tra i bambini rom a cui sono prese le impronte digitali; tra i salariati a mille euro al mese; tra i milioni di giovani schiavi sotto il regno della Legge 30; tra la destrutturazione ormai completa del welfare; tra le macerie del diritto allegramente bombardato da Berlusconi, e via soffrendo.
La verità è che se qualcosa di ideologicamente antico c'è, esso si trova proprio nella reiterazione delle vetuste e sempre fallite politiche di conciliazione col capitale (e quale capitale! Quello odierno, che non vuole ostinatamente saperne di redistribuzioni e compromessi col lavoro) a cui oggi chiaramente alludono Vendola e Fava.
Parliamoci chiaro: quale sarebbe la linea alternativa a quella di Ferrero? Quella di ricucire, fuori dalle piazze e dentro i palazzi, la bandiera floscia dell'Arcobaleno? Quella di tranquillizzare la borghesia proponendole una dolce alternativa a Berlusconi, «non settaria», ma con «la testa sulle spalle», come scrivono gli arcobalenisti di ritorno?
Crediamo che questa linea possa anche essere un'alternativa alle destre più trucide, un'opzione per la classe dominante. Certo non lo sarebbe per la nostra classe, per il nostro popolo. O il governo Prodi - con le sue guerre e i suoi protocolli antisociali, la sua sconfitta - non ha insegnato niente?
Dietro l'attacco al Prc
E' del tutto evidente, tra l'altro, che dietro l'attacco alla svolta di Rifondazione si cela il disegno strategico più ambizioso, quello non colto alle ultime elezioni: superare definitivamente l'autonomia comunista, chiudere col Prc e con la storia del movimento comunista in Italia.
Sarà per questo che Vendola trova oggi conforto sia da Fava che da D'Alema?
Il comunismo è finito, dice la classe dominante. E in molti, a sinistra, interiorizzano il comando. Non sarà meglio schierarsi a fianco dei giovani, degli immigrati, delle donne, dei movimenti, tornare davanti e dentro le fabbriche, costruire un altro grande 20 ottobre di lotta, dirigersi in massa contro il G8, in Sardegna, per sapere dalla nostra gente se davvero il comunismo è morto?
Ciò che sappiamo è che la socialdemocrazia è un'araba fenice: sembra perire ogni volta tra i tappeti scarlatti dei parlamenti, per poi puntualmente rinascere nei cortili di casa dei padroni.

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