CULTURA & VISIONI

Marmo e non solo, arrivano i corpi viventi

BIENNALE
DI GENOVA ARIANNA,

La tredicesima edizione della Biennale internazionale di scultura di Carrara, chiude del tutto con il passato e volta definitivamente pagina, scardinando in primis il concetto stesso di «plasticità». Non solo marmi per celebrare le cave che «aiutarono» il genio michelangiolesco e materiali a tutto tondo che attraversano lo spazio, ma anche video, installazioni e fotografie. La mostra, infatti, intitolata Nient'altro che scultura, affidata alla cura di Francesco Poli (visitabile fino al 28 settembre, catalogo Silvana editoriale) riprende il filo della sua lunga storia iniziata nel 1957 e lo dipana secondo originali itinerari. Quattro gli omaggi che aprono il ventaglio di possibilità future: l'igloo di Mario Merz nella chiesa del suffragio, i «calchi» di Giulio Paolini nell'aula magna dell'Accademia, le forme erotico-nauseanti della centenaria Louise Bourgeois, i bozzetti di monumenti di Pietro Cascella.
Poi, lo «straripamento». La definizione di scultura si allarga e finisce per assumere su di sé le tematiche identitarie di questo nuovo millennio, eleggendo il simulacro umano a icona speciale in grado di riassumere esperienze diverse. Assemblaggi, readymade, ma anche performance perché queste ultime mettono in scena una materia vivente, come le celebri statue «singing» interpretate da Gilbert&George.
Per chiarezza, i visitatori possono scegliere fra tre percorsi. Nel primo, «La forza attuale del marmo» si incontrano i candidi corpi focomelici di Marc Quinn e la classicissima Leda e il cigno di Matt Colloshaw (Gb, 1966), che si specchia nelle torbide acque di un presente oscurato dall'influenza aviaria, passando per asfittici pavimenti, brandello irreale di una domesticità impossibile di Flavio Favelli.
Nel secondo, «Le nuove statue», la ritrattistica si manifesta in tutte le sue variegate deviazioni dalla norma. Androide Face allestisce il set dell'autismo sull'espressione emotiva di un volto, Maddalena Anbrosio cerca di scrutare nei pensieri reconditi degli individui riprodotti in silicone, aprendogli letteralmente il cervello con inserti video, mentre Robert Gligorov, macedone, propone la sua Maria, terza di una serie di sculture dedicata al tema della carità. «I mendicanti - sostiene l'artista - mi hanno sempre affascinato per la loro capacità di fare emergere il nostro senso di colpa... Trovo l'intensità del loro gesto molto affine al fare artistico... camuffare, travestire, posare, esporsi come tableaux vivants in performance pubbliche». Dal Sudafrica, Trevor Gould mina la ritrattistica alla sua base, spodestando l'antropocentrismo a favore di una scimmia, per di più albina, con tanto di piedistallo a metterla «in mostra». Ad abbattere la regalità umana arrivano anche i quattro manichini dello svizzero Thomas Hirschhorn e infine, gli scheletri innamorati in ceramica di Marzia Migliora, ispirati a un recente ritrovamento nei pressi di Mantova di un uomo e una donna del neolitico.
Il portoghese Julião Sarmento propone invece una enorme statua, iperealistica, di una ragazza senza testa, a testimoniare l'anonimato e l'omologazione che intreccia le traiettorie di molti individui metropolitani. A questa donna priva di identità fa da contraltare la sconvolgente «Nonna» di Paolo Schmidlin, bronzo dipinto che doppia le caratteristiche fisiche di un corpo, rughe della pelle comprese, realizzando un monumento all'invecchiamento senza eroismi.
Nell'ex convento di san Francesco, va in onda «La scultura come corpo vivente». È l'ora del «body» provocatorio, da quello martoriato di Marina Abramovic fino al Recorte por la linea della guatemalteca Regina José Galindo che si fa tracciare addosso, da un chirurgo plastico, le linee di una immaginaria perfezione. Per il resto, sculture e installazioni trasformano la città in un grande laboratorio.

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