TELEVISIONI

Los Angeles, metropoli popolata da «fantasmi»

RAITRE
DI GENOVA ARIANNA,

La metropoli come zona di frontiera, ossessionata dal controllo e dalla pratica militare della sicurezza, abitata da «fantasmi» senza alcun diritto sociale se non quello alla sopravvivenza stentata. È così che il documentario La città divisa, regia di Marta Francocci, andato in onda su Raitre sabato scorso a un orario impossibile della mattina (ma perché, dato che era stato realizzato, in collaborazione con l'Ordine degli architetti, proprio per Rai educational?) racconta la vita urbana degli ultimi decenni, partendo dagli interstizi dei confini, passando per l'edilizia popolare e la riconversione degli edifici ex industriali per finire sull'«esclusione» simboleggiata dal Lazzaretto di Cagliari e sulla speranza di un nuovo skyline culturale che si appoggia sul museo di arte contemporanea Betile progettato da Zaha Hadid.
Il viaggio apre su San Diego, luogo di frontiera militarizzato, in guerra permanente con l'immigrazione che tende a diventare stabile e non più stagionale, a causa dell'alta conflittualità istigata dal governo locale. E poi c'è Tijuana, territorio off limits dove s'infrangono i sogni di molte persone in cerca di futuro. È questo il posto giusto per vedere cosa è successo dopo l'11 settembre. Qui, un tempo, spiega Mike Davis, la gente occupava le colline, la polizia sgomberava e infine, lasciava correre. Si diventava «cittadini» così. Oggi, invece, si può abitare solo vicino a discariche tossiche e i diritti si sono vaporizzati. Uguale sorte hanno molti individui a Los Angeles. La metropoli californiana ha preso il posto della New York d'inizio secolo. Promette una nuova vita, ma poi non mantiene le sue lusinghe. È come un immenso slum, con enclave abitate dalla classe media (anch'essa però sotto botta, precarizzata, privata di qualsiasi garanzia, compresa quella sanitaria). Nella città degli angeli, quasi metà della popolazione vive in case di fortuna, settantamila sono in strada e fra i senzatetto il 40% sono afroamericani.
La seconda tappa del film conduce lo spettatore a Londra. Qui è David Adjaye, architetto britannico di origini africane, a cercare di stabilire un contatto con la realtà urbana. Si chiede: «Cos'è oggi l'architettura?». Una risposta lui ce l'ha: «È scrivere nella città ciò che siamo e quello che vogliamo. Costruire è una questione di civiltà». L'esempio è il quartiere Elephant & Castle, primo con un'edilizia popolare di un certo livello, oggi ricordato dalle nuove politiche urbanistiche anti-ghetto, che mirano a una «miscela» sociale nei quartieri di Londra (il 50% delle abitazioni devono poter ospitare anche famiglie a basso reddito). Fra le aree di riqualificazione, spiccano la Tate Modern e il Millennium Bridge, progetti che sono riusciti a collegare le zone più povere con la City. Infine, la Sardegna, come luogo di perdizione (il rione Sant'Elia) ma anche laboratorio di utopie architettoniche (vedi il piano urbanistico firmato da Rem Koolhaas).

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