CULTURA & VISIONI

Massive Attack, nel segno indelebile del dub

CONCERTI
CORZANI VALERIOROMA

Quando Robert Del Naja e Grantley Marshall hanno fatto partire il loop epocale di Karmacoma è come se quella canzone avesse trovato finalmente un domicilio. I campanacci campionati che dettano il levare, il giro di basso rotondo e incalzante e quel ritornello inequivocabile: «Karmacoma...Jamaica in Roma». A quel punto il pubblico di Capannelle e del Roma Rock Festival era già ai loro piedi perché Karmacoma è arrivato come quarto bis. Ai Massive Attack non è mai servito abiurare il trip hop come tocca fare di continuo ai Portishead e a Tricky, gli altri rappresentanti della santissima trinità del genere bristoliano. Il loro percorso è stato turbolento e anomalo. La struttura del gruppo più votata alla struttura aperta di un collettivo che si declina di volta in volta nel modo più efficace che non al profilo di un gruppo stabile o al solipsismo bizzoso delle star. Le liti interne hanno aggiunto un surplus di imprevisti alla parabola del gruppo e quel che ci ritroviamo oggi è un combo con due teste guida, un suono inequivocabile e un ensemble numeroso.
Numeroso e bilanciato perché la frontline del palco romano assemblava dieci musicisti equamente divisi in cinque bianchi e cinque colored: basso, due batterie, chitarra, un tastierista tuttofare, tre vocalist oltre a Del Naja e Marshall. Tutto sommato un suono molto caldo e molto suonato. Un muro di suono a dire il vero. Fragoroso, cangiante, convincente. I loop sempre presenti, ma quasi mai lasciati soli, quasi mai abbandonati al loro cerchio stitico, piuttosto incalzati, rovistati, completati dal manovrìo di strumenti veri, di riff di chitarra, di pelli di tamburo. Un muro di suono che veniva replicato e spiattellato anche alle spalle del gruppo con una scenografia semplice ed efficace.
Un muro appunto. Una griglia visiva sulla quale si stampavano di volta in volta giochi grafici e aforismi, news del gossip italiano e orari di un aeroporto immaginario. «Nessun uomo è al di sopra e al di sotto della legge» recitava a un certo punto una delle frasi che scorrevano alle spalle dei Massive. È del poeta americano Edwin Markam, e come quelle terribili di Stalin e Pinochet che sarebbero arrivate in seguito suonavano come un monito convincente dietro il borbottio incessante del gruppo.
La militanza dei Massive Attack è così, muta ed evidente. Del Naja, il più loquace, si è concesso solo una dedica esplicita a Matteo Garrone e a Roberto Saviano col quale ha collaborato per la colonna sonora di Gomorra. Dopodiché è ricominciato il pulsare incessante della band, uno stantuffo che l'aver già celebrato date a Glastonbury, Belfort, Instanbul, Amsterdam, Napoli, non ha ancora anestetizzato e che ha trovato nei vocalizzi dub del giamaicano Horace Andy, una sorta di convincente, definitivo, ammaliante vettore.

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