CAPITALE & LAVORO

Proposte e suggerimenti per l'assemblea Cgil del 23 luglio

ANALISI
FERRARI SERGIO, ROMANO ROBERTO

L'attuale quadro economico e sociale del paese non solo appare difficile, ma in pochi sembrano volersi occupare veramente della crisi. La crisi economica è difficile per tutti, ma per l'Italia assume contorni e dinamiche che in pochi hanno realizzato fino in fondo. Spesso si adottano anche posizioni che non rispondono ai problemi. Proviamo a mettere a fuoco alcuni nodi e vedere se c'è un minimo di consenso.
1) L'economia italiana importa innovazione tecnologica per investire in produzioni a basso valore aggiunto. La conseguente bassa produttività dell'Italia è imputabile al capitale, cioè alla logica di questi investimenti. Il lavoro ha veramente ben poche responsabilità e non può sopperire all'infinito a questa logica. È proprio l'anomalia del capitale italiano rispetto al modello cooperativo europeo e nei confronti del modello anglosassone a pregiudicare l'orizzonte del nostro paese.
2) Questa anomalia è alla base della questione che ora, in grave ritardo, tutti riconoscono: in Italia il reddito da lavoro dipendente ha manifestato una erosione che non ha eguali in Europa, determinando una sperequazione distributiva altrettanto anomala.
3) Correggere la sperequazione del reddito solo attraverso l'intervento fiscale può avere un effetto parziale e illusorio La maggiore disponibilità di reddito per i redditi più bassi aumenta la propensione marginale al consumo, ma non significa affatto maggiore crescita, soprattutto se, come in effetti avviene, questo consumo addizionale è soddisfatto da maggiori importazioni o rimane impiegato su prodotti italiani a basso valore aggiunto.
4) L'apertura di una nuova fase contrattuale tesa a ridefinire le regole contrattuali non può eliminare dal tavolo delle trattative la necessità di modificare gli effetti e le cause della sperequazione del reddito, soprattutto non può realizzarsi «scaricando» solo sul fisco la soluzione.
5) Occorre predeterminare un punto di arrivo. Da un lato si potrebbe definire tra le parti sociali e il governo una ripartizione macroeconomica del reddito addizionale tra i fattori di produzione, ma, dall'altro, occorre aprire anche la questione della politica industriale, modificando un approccio che da vari lustri ha assecondato il perseguimento di interessi che hanno da tempo mostrato una totale inadeguatezza rispetto agli scenari internazionali.
Il sindacato dovrebbe scegliere il punto di arrivo ed essere coerente. Se l'orizzonte è il modello cooperativo europeo, occorre ripristinare degli equilibri nel modus operandi del mercato italiano, cioè avere salari europei, orari di lavoro europei, maggiore intervento pubblico, riduzione del numero dei contratti di lavoro. Siamo convinti che esiste lo spazio «politico e sociale», soprattutto se consideriamo l'inidenza della «conoscenza» come fattore di produzione che potrebbe creare opportunità prima inesistenti. Tutto questo suggerisce più attenzione alle riforme di struttura e non solo alla manutenzione dei modelli contrattuali.. Su questo terreno è possibile rilanciare come protagonista il sindacato. Diversamente possiamo solo immaginare di contrattare la diversa povertà del paese.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it