STORIE

«No Restraint», un movimento contro la contenzione

CONVEGNO
GIANNICHEDDA MARIA GRAZIA,

Un convegno lo scorso 6 giugno a Mantova ha chiamato per la terza volta a raccolta il «Club No Restraint», i servizi psichiatrici di diagnosi e cura (Spdc) che non usano la contenzione. Il Club comprende attualmente una ventina di Spdc: in casi come Trieste, Mantova, Novara il sistema «no restraint» ha lunga esperienza, in altri (come Merano, Portogruaro, Pistoria, Roma C, Aversa, Caltagirone-Palagonia, Caltanissetta ) ha preso avvio da diversi anni o alcuni mesi, in altri ancora, (Verona Sud, Treviso, Venezia, Arezzo) le porte possono essere chiuse ma la contenzione è stata abolita.
Il nome del Club cita il medico John Conolly, che in un testo del 1856, The Treatment of the Insane without Mechanical Restraints, descrisse il trattamento dei malati di mente senza mezzi costrittivi che egli sperimentava da 15 anni nell'istituto psichiatrico di Hanwell, vicino a Londra (il libro fu pubblicato da Einaudi nel 1976 con un bel saggio di Agostino Pirella). Alludere a quella vecchia storia serve a ricordare che già altre volte sono nati, nella psichiatria occidentale ciclicamente pressata da scandali e inchieste sul maltrattamento dei malati, esperimenti di gestione non repressiva, e l'Italia di oggi è il paese che ha prodotto i più numerosi e di lunga durata, tutti all'interno del sistema sanitario pubblico. A Mantova si è cercato di mettere insieme questa psichiatria «no restraint» puntando l'attenzione sul lavoro degli infermieri professionali, che hanno spiegato come si fa a essere responsabili e rispettosi, e come sia falsa l'alternativa tra repressione e abbandono spesso chiamata a giustificare la contenzione.
Per abolirla, si deve agire a due livelli. Come ha evidenziato il gruppo di Merano, bisogna intervenire sul decoro del reparto (pulizia, arredi, luci, cibo) non meno che sull'organizzazione dei turni e del gruppo di lavoro, che è altra cosa dalla sommatoria verticale di professioni diverse. Ma si tratta soprattutto di risolvere in modo nuovo un problema che è la dannazione di tutto il servizio sanitario nazionale, il rapporto tra ospedale e servizi territoriali, sistemi che tendono a essere mondi separati che comunicano poco e male. In salute mentale e nella medicina che segue disturbi di lungo periodo (diabete, nefropatie, malattie neurologiche, ecc.) può avere effetti disastrosi il fatto che i servizi territoriali siano pochi, aperti poche ore, indisponibili ad andare a domicilio, capaci di svolgere solo funzioni minimali, alla fine inutili per chi ha problemi gravi, che quindi subisce ricoveri reiterati che si potrebbero evitare e che spesso non sono la risposta adeguata. Come hanno detto gli infermieri di Mantova, il ricovero non deve essere il centro della cura, servizi territoriali e Spdc devono pensarsi ed essere un'unica èquipe, che deve concordare con vigili urbani, polizia e 118 protocolli di collaborazione, per non lasciarli al ruolo di «acchiappamatti» da consegnare alla psichiatria.

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