CULTURA & VISIONI

Gli antenati yoruba di Bobby Sanabria

VERONA JAZZ
LORRAI MARCELLO,VERONA

«Fate pure foto, registrate, filmate, fate quello che vi pare: questo concerto è dedicato a Keith Jarrett» Non manca di senso dell'ironia Bobby Sanabria: ma meglio non sottovalutare che, di origine portoricana, è pur sempre nato e cresciuto nel South Bronx. Quando, dopo un paio di pezzi, qualche fiotto di spettatori scende dalle gradinate del Teatro Romano e passa davanti al palco per guadagnare l'uscita, Sanabria non apprezza particolarmente la mancanza di garbo, e ne innaffia qualcuno con il contenuto di una bottiglietta di acqua minerale. Poco prima si era dedicato ad un altro tipo di aspersione: prima di sedersi alla batteria e cominciare l'esibizione aveva fulmineamente lanciato qualche goccia d'acqua verso il pubblico, depositando poi il bicchiere con ancora un po' del suo contenuto davanti alla cassa del suo strumento. Un gesto a cui il pubblico aveva riso, trovandolo evidentemente spiritoso e probabilmente non sospettando che potesse invece avere a che fare con gli spiriti: una piccola pratica di purificazione, con quel bicchiere d'acqua che tanto ruolo ha nelle religioni afrocubane, che un musicista latino può fare solo seriamente, perché sa che non si scherza coi santi. Titolo del primo brano, firmato da Sanabria: Praise to the Ancestors.
E fa effetto, nel coro dei componenti di una big band newyorkese, anzi nuevayorquina, formata prevalentemente di bianchi e in parte di mulatti, cogliere distintamente l'eco dei canti di matrice yoruba, e sentire nella grana del brano che non si tratta di una semplice concessione al folclore. Molti dei ragazzi dell'orchestra (quattro tromboni, quattro trombe, cinque sax, piano, basso, conghe e bonghi, oltre alla batteria del leader) sono venuti fuori dall'attività di insegnamento di Sanabria: che, si può esserne abbastanza certi, non gli avrà fatto credere, come alla Berklee, che la musica è tutta questione di tecnica.
Ai primi passi Sanabria fu per esempio incoraggiato da Tito Puente, grande musicista ma, come noto, anche adepto della santeria. E nella splendida cornice del Teatro Romano Sanabria ci si era già trovato nel '92: con l'orchestra di Mario Bauza, newyorkese di adozione ma cubano fino al midollo, direttore musicale dell'orchestra di Machito, nonché l'uomo che fece conoscere Chano Pozo e Dizzy Gillespie, l'incontro decisivo per la nascita del cu-bop e per lo sviluppo del latin jazz.
Tornato ad occuparsi della direzione artistica di Verona Jazz, Nicola Tessitore ha voluto subito riannodare il filo di un'attenzione che era stata tra quelle qualificanti della rassegna: mentre altri festival anche illustri surrogavano alla povertà di proposta jazzistica mettendo in cartellone orchestre di salsa (sia detto col massimo rispetto per quest'ultima), Verona operava sul rapporto fra jazz e latin music scelte sofisticate, proponendo appunto Bauza, ma anche la band di Manny Oquendo, più tardi Kip Hanrahan.
Antenati: i più lontani, gli antenati africani o di una Spagna già profondamente intrisa di cultura e umanità araba, i più vicini, come gli antenati di famiglia delle cerimonie della santeria, come Machito e Bauza, a cui Sanabria dedica una robusta versione del cavallo di battaglia di Gillespie Tin Tin Deo, celebre brano di Chano Pozo e Gil Fuller. Sanabria continua poi con una non corriva e non banale interpretazione di Besame Mucho, quindi con un brano ispirato al carnevale di Portorico, e ancora con una ripresa di un brano del brasiliano Hermeto Pascoal (che si può trovare anche nell'ultimo album di Sanabria, Big Band Urban Folktales, Jazzheads).
Con una grande inclinazione espansiva e una spiccata capacità di egemonia, la cultura afrolatina ha uno dei suoi punti di forza nella sua inclusività: e nel repertorio di Sanabria anche Grand Wazoo di Frank Zappa si trova latinizzato gustosamente e con naturalezza. In una serata in cui il Teatro Romano era colmo di spettatori convenuti e già soddisfatti per il duo Bollani-Rava esibitosi in apertura, Sanabria è riuscito nel miracolo di trattenere, dopo qualche defezione iniziale, il grosso del pubblico fino alla fine: fine che Sanabria ha dilazionato con diversi bis, Mambo Beat, di Puente, Manteca, di Pozo-Gillespie.
E in Manteca, con l'orchestra che aveva ormai carburato, e nel pieno della dimensione materica del suono orchestrale, qualcosa cominciava a eccedere la semplice esecuzione musicale: un'euforia, una frenesia, una accelerazione del ritmo come, quando nelle cerimonie della santeria, i tamburi batá prendono velocità e mandano in trance i fedeli. Ma che anche nelle sue forme più profane ci sia spesso qualcosa che trascende è uno dei grandi segreti che spiegano la persistente vitalità della latin music.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it