CULTURA & VISIONI

Un moderato naufragio per il Secolo dei Lumi

FILOSOFIA Un saggio sui destini dell'illuminismo nell'era della globalizzazione
LEONI FEDERICO

Il libro che Rino Genovese ha dato alle stampe col titolo Gli attrezzi del filosofo è un libro sul destino dell'illuminismo. Dell'illuminismo come progetto filosofico-politico, come motore della storia non solo moderna ma contemporanea, come matrice antropologica di quell'essere umano che siamo noi occidentali. Matrice in crisi, perché l'orizzonte dei diritti non ci ha liberati, bensì asserviti; perché la libertà di comunicazione non ha dato voce ai conflitti in corso, bensì li ha uniformati nella chiacchiera in cui ciascuno ha le sue ragioni e dunque i suoi torti, il forte come il debole, il ricco come il povero. Perché, infine, la logica della rappresentazione democratica del confronto sociale non ha affrontato tensioni e disuguaglianze, bensì le ha neutralizzate in un gioco delle parti sempre più estrinseco e ineffettuale.
Tutti noi siamo promessi alla terra dei diritti, e certo è meglio che un bambino abbia il diritto di studiare piuttosto che la certezza di finire in mano a un mercante di schiavi. Eppure la logica dei diritti non dà, ai pochi fortunati e ai tanti aspiranti di ogni parte del mondo, altro che la possibilità di diventare uno spettatore televisivo e un compratore di automobili, un docile produttore di nulla e un allegro consumatore di nulla. È un fallimento, e in questo caso che fare? È una realizzazione, e in questo caso sarà bene accontentarsi di quel che di buono ne può venire? Soprattutto, dove si colloca questa domanda sul fallimento o sulla realizzazione dell'illuminismo?
È questa terza domanda che caratterizza della riflessione di Genovese, e del suo modo di intendere la filosofia, o come preferisce dire la teoria. Per un verso infatti una domanda simile segna la fine del progetto illuministico. L'uomo dei diritti è giunto in porto, ma il porto è quello sbagliato. Il diritto all'uguaglianza è diventato un dovere di uguaglianza: questo colonialismo dal volto umano, questa sistematica esportazione del libero mercato a colpi di bombe non sono poi così estranei al progetto riformistico e nobilmente umanistico della globalizzazione dei diritti «dell'uomo e del cittadino». Per altro verso la domanda è tutt'altro che estranea all'illuminismo, se l'illuminismo è il progetto di un'incessante messa in questione di ogni figura dell'umano e di ogni progetto politico, sociale, economico.
Non sarebbe però azzardato porre l'itinerario di Genovese sotto il segno di Nietzsche, che occhieggia in ciascuno dei passaggi chiave della sua proposta teorica. È infatti una tesi nietzscheana, ricorrente negli Attrezzi del filosofo, che il fenomeno centrale di ogni esperienza umana sia l'evento di un punto di vista; che la teoria stessa sia non tanto la fondazione di un sistema di verità, ma la messa in opera di un punto di vista sulla verità; che l'uomo occidentale, autocosciente, utilitarista, edonisticamente individualista, sia non tanto un universale quanto un particolare, la cui particolarità sta esattamente in questo suo pensarsi e realizzarsi «globalmente» come universale; che la realtà umana sia conflitto di punti di vista non destinato a democratica riconciliazione ma a incessante ristrutturazione e dislocazione del dissidio; che l'illuminismo sia, appunto, mito di un'umanità razionale e universale, ma anche e insieme messa in questione di ogni mito.
Di qui l'intero itinerario che Genovese percorre, sollevando con crescente radicalità questo gioco di specchi. Come abitare dunque l'eredità illuministica, ovvero come pensare l'Occidente senza agirne meccanicamente i tic, gli automatismi politici, le cieche necessità economiche? Difficile dar conto di un percorso tanto ricco. Se ne possono indicare però alcuni snodi centrali: una acuta e puntuale critica della dottrina habermasiana del riconoscimento e dell'agire comunicativo; un efficace smontaggio dell'ermeneutica di Hans-Georg Gadamer e del suo ideale di fusione degli orizzonti; una pungente messa in questione della sua «teoria della giustizia» di John Rawls. Di qui, anche, la domanda che Genovese ha il merito e la forza di sollevare lungo tutto il percorso di questi venti saggi, che rendono conto di un quindicennio circa di interventi pubblici in bilico tra l'attualità sociopolitica e la riflessione teorica.
Come pensare, allora, una politica dell'emancipazione quando tutti gli strumenti dell'emancipazione hanno dato prova di una curiosa inclinazione a realizzare il contrario? Come immaginare un progetto progressista che non precipiti istantaneamente e necessariamente nell'amministrazione (appena temperata) dell'esistente? Come immaginare un modello di riconoscimento che non segua né lo schema dell'abbandono dei più deboli al loro destino di debolezza né quello dell'annessione (ideologicamente rischioso e storicamente infondato, se è vero, come propone Genovese, che non si dà oggi vera e propria globalizzazione, ma più esattamente ibridazione, compromesso localmente definito e circoscritto, «creolizzazione»)?
Nel complesso è un libro che tratteggia una sistematica decostruzione della tela di fondo entro cui si è mosso tutto il pensiero progressista - italiano, europeo, statunitense - degli ultimi venticinque anni. E se da un certo punto di vista questi «attrezzi» aiutano a riflettere su un passaggio in ogni senso epocale dell'eredità culturale moderno-contemporanea, da un altro punto di vista parlano con tono eloquente e inquieto a chiunque abbia a cuore la discussione che le sinistre italiane stanno faticosamente avviando in questa difficile stagione post-elettorale, interrogandosi non solo tatticamente, ma strategicamente, intorno alla propria ragione politica, sociale, filosofica.
LIBRI GLI ATTREZZI DEL FILOSOFO DI RINO GENOVESE , MANIFESTOLIBRI, PP. 232, EURO 20

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