CULTURA

Avanguardie storiche e nuove generazioni

BIENNALE MUSICA
LORRAI MARCELLO,MILANO

«Radici Futuro»: argomentando la scelta di questa intestazione per la 52esima edizione del Festival Internazionale di Musica Contemporanea di Venezia, il cui cartellone (2-18 ottobre) è stato presentato giovedì, Luca Francesconi, nuovo direttore della sezione musica della Biennale, tiene a sottolineare che «radici» non equivale necessariamente a «passato». In effetti le radici, che nell'uso metaforico di troppi discorsi odierni sul fondamento di identità vere o presunte stanno ad indicare qualcosa di remotamente ancestrale, quando stanno sotto ad una pianta che produce foglie, fiori, frutti non sono un «passato», ma un presente ben vivo. Così come il patrimonio della grande musica moderno-contemporanea che sta alla base di sviluppi odierni: come gli Stravinkij e i Nono (compositori epocali e anche «veneziani») che Francesconi, con una apertura programmatica, fa dialogare nel concerto inaugurale con Juste Janulyte e Miryam Tally, autrici giovani ed emergenti. Un nesso «radici/futuro» che pare essere la radice del futuro della gestione Francesconi per i prossimi anni: una dichiarazione di intenti attraverso una esemplificazione notevolmente consistente, in termini quantitativi e qualitativi, considerati i pochissimi mesi avuti a disposizione data la fresca nomina, ad inizio d'anno.
In un programma caratterizzato dal diffuso accostamento di avanguardie storiche e di nuove generazioni compositive, spiccano gli omaggi, che percorrono con diverse esecuzioni il cartellone, a Gérard Grisey (nel decennale della morte), Stockhausen (che quest'anno avrebbe compiuto ottant'anni), e a Berio; il tentativo di mettere in comunicazione il festival di musica con le altre sezioni della Biennale, con l'opera di teatro musicale da camera del tedesco Enno Poppe ispirata al Crusoe di Defoe, con il secondo atto di Donnerstag aus Licht di Stockhausen riproposto con l'apporto scenico della compagnia teatrale La Fura del Baus, e con pagine di Schoenberg, Eisler e Dessau nate come musiche da film; il «focus» sulla musica per quartetto d'archi, sempre a cavallo tra «radici» e oggi (Nono, Berio, Scelsi, Henze, Xenakis, e Fedele, Harvey, Sarto, Perez Ramirez, Mosca, nelle esecuzioni del Quartetto della Fenice, del Kreutzer Quartet e dell'Arditti), e analogamente l'attenzione per la musica per pianoforte solo; e i tre giorni e le due serate di concerti del Colloquio di Informatica Musicale. Rispetto agli indirizzi del predecessore Giorgio Battistelli sembra appannarsi l'attenzione a figure ed aspetti più eterodossi della contemporaneità. Sostanzialmente irrisolto continua ad apparire poi l'annoso problema di una programmazione che, pur fedele alla tradizione storica della Biennale, sappia maggiormente rendere conto di una scena contemporanea in cui molti degli esiti più importanti non provengono dall'area accademica. Due edizioni che avevano fatto in questo senso eccezione - quella degli anni ottanta intitolata a «La scelta trasgressiva» e quella del 2003 diretta da Uri Caine - sembrano aver rappresentato solo dei momenti di «carnevale» dopo il quale si torna sostanzialmente nella norma. La linea di difesa su questo fronte di Francesconi, pur tutt'altro che indifferente al jazz e alla musica tradizionale, è una serata con canti sardi e una jam con Franco D'Andrea e Trilok Gurtu e una chiusura all'insegna dell'happening e dell'elettronica. Nelle prossime edizioni bisognerà forse avere un po' più di spazio e di pensiero anche per altre radici e altri futuri.

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