Una corsa contro il tempo. Esercizi di sofisticata semantica negoziale, fino a tarda sera, per raggiungere un consenso sulla strategia globale e il piano d'azione per assicurare nuove politiche per la ricerca scientifica e l'accesso ai farmaci essenziali per i paesi in via di sviluppo. La posta in gioco è importante: la prossima settimana si riunisce a Ginevra l'Assemblea dell'Organizzazione mondiale per la sanità (Oms), e trent'anni dopo aver formulato il rivoluzionario concetto di «farmaco essenziale» tornerà a occuparsi di politiche farmaceutiche. In particolare, un Gruppo di lavoro intergovernativo dell'Oms lavora da settimane per definire un piano su «salute pubblica, innovazione e diritti di proprietà intellettuale».
È uno dei negoziati più controversi degli ultimi anni, perché entra nello scontro fra logiche del commercio e bisogni di salute. Del resto molti paesi, tra cui l'Unione Europea, avrebbero affidato questo negoziato all'Organizzazione mondiale del commercio (Omc), piuttosto che a quella della sanità. Il problema è che la ricerca tende a trascurare i pazienti privi di potere d'acquisto e che i detentori dei brevetti hanno posizioni di monopolio. Si pensi: dei 1.556 nuovi medicinali messi in commercio fra il 1975 e il 2004, solo 21 sono destinati alle malattie tropicali e alla tubercolosi. Nel frattempo la tb è divenuta un'emergenza di salute pubblica, per l'effetto combinato di povertà e Aids e per la diffusione di ceppi resistenti ai pochi e vecchi farmaci disponibili sul mercato. Il test diagnostico comunemente usato (sviluppato alla fine dell'800) non intercetta la malattia nella maggior parte dei casi; il trattamento per i pochi fortunati può durare fino a due anni, e la probabilità di avere un nuovo regime contro la tubercolosi con almeno due nuovi farmaci entro il 2015 è inferiore all'1%. Persino l'ente pubblico di ricerca americano Nih, che prende l'innovazione medica sul serio, spende sull'antrace molto più che per la tubercolosi.
Occorre rivedere la priorità, dunque, e subito. Puntare sulla ricerca «essenziale», che risponde ai bisogni pubblici più che agli interessi degli shareholders. Cambiare le regole del gioco e garantire che gli strumenti sanitari oggi esistenti e quelli nuovi - farmaci, vaccini, diagnostici - siano adatti e accessibili alla parte di popolazione mondiale che non sta sul «mercato». Si tratta di un'opportunità unica per i governi di riaggiustare un sistema di innovazione pieno di storture. A leggere la bozza di strategia però sembra che l'opportunità non sia stata colta. Il testo riflette l'esito incerto di uno scontro tra gruppi di interessi diversi e divergenti. Le aziende farmaceutiche (presenti con una ipertrofica delegazione di 59 persone) e i paesi industrializzati da un lato, fermi sulle loro posizioni. Il blocco dei paesi in via di sviluppo dall'altro, oggetto (soprattutto quelli africani) di una pressione «senza precedenti», stando ad alcuni delegati. Fra mille condizioni si intravedono timidi impegni dei governi a favore della ricerca e dell'accesso ai farmaci essenziali: la strategia prevede la possibilità di considerare nuovi incentivi, ad esempio premi per stimolare l'innovazione, e politiche innovative di licenza come modelli di ricerca senza brevetti (open-source) o di donazione degli stessi, che permettano una gestione meno feudale della proprietà intellettuale. Si parla dell'ipotesi di esplorare un trattato internazionale sulla ricerca essenziale in alternativa ai Trip («trade-related property rights», diritti di proprietà intellettuale sistematizzati dagli accordi dell'Organizzazione mondiale del commercio). Il capitolo dell'accesso resta tuttavia pieno di contrapposizioni, con il blocco degli Stati uniti su politiche dei prezzi dei farmaci, contraffazione, esclusività dei dati relativi agli studi clinici. Sarà difficile superare il clima di intimidazione che colpisce i pochi paesi determinati ad adottare norme di salvaguardia della salute pubblica (licenze obbligatorie, importazioni parallele, etc.). La palla passa all'assemblea dell'Oms.