CAPITALE & LAVORO

Il federalismo affossa il Sud

Studio Cgia: saranno costretti ad alzare le tasse o ridurre i servizi
MARINI MATTEO,

Alle regioni del Sud Italia il federalismo fiscale non conviene. La «bella scoperta», quasi un enunciato lapalissiano, è stata fatta dall'istituto Cgia di Mestre in un rapporto pubblicato ieri sul sito dell'associazione. L'analisi parte da un dato: la media della copertura della spesa corrente con tributi propri, da parte delle regioni ordinarie, è del 45,6%. Cioè in media ogni regione fa fronte a quasi metà della spesa corrente con le tasse (i tributi propri sono: Irap, addizionale regionale Irpef e tasse universitarie).
Si parla, appunto, di «media». Perchè come nel famoso caso del pollo di Trilussa, è un dato che va analizzato. La Lombardia, per continuare nell'esempio, si mangia in pratica un pollo e mezzo, coprendo con le tasse il 64,6% del proprio fabbisogno corrente, mentre la Basilicata resta quasi a bocca asciutta con un misero 21,6%. Sopra la media anche Piemonte, Veneto, Lazio, Emilia Romagna e Toscana. Scorrendo la classifica verso il fondo si notano quasi solo regioni del centro-sud, con l'esclusione della Liguria (31,9%).
Nel suo rapporto la Cgia ha ipotizzato che ogni regione debba far fronte alle spese correnti con propri contributi secondo la media nazionale e ha ottenuto qualche semplice somma. In un regime di federalismo fiscale di questo tipo, tutte le regioni ordinarie del Sud (eccetto quindi Sicilia e Sardegna che sono a statuto speciale e qui non vengono considerate) dovrebbero alzare le tasse o attuare una sensibile riduzione della spesa pro capite ai propri cittadini (che significherebbe riduzione dei servizi). Qualche esempio: la Basilicata, ultima in classifica, dovrebbe alzare la pressione tributaria di 550 euro per ogni cittadino oppure ridurre la spesa pro capite di 1206 euro. Sulla stessa barca sarebbero anche Calabria e Molise, con una riduzione della spesa che dovrebbe essere sopra i 1100 euro o un'incremento delle tasse di più di 500. In difficoltà anche Umbria, Puglia e Campania.
Per le regioni «ricche» (quasi tutte al Nord, tranne Lazio e Toscana) c'è invece un'inversione di segno. La Lombardia, che fa la parte del leone in testa alla classifica, si potrebbe permettere un taglio alle tasse di ben 323 euro per cittadino o un aumento di spesa di 707 euro pro capite. Secondo, anche se con un certo distacco, il Piemonte (riduzione dei tributi di 167 euro o aumento della spesa di 366) e il Veneto (-132 o +289). Unica eccezione, tra le regioni del Nord, è la Liguria che, con appena il 31,9% della spesa corrente coperta con le tasse, dovrebbe alzare la pressione fiscale di 300 euro oppure ridurre la spesa pro capite di 658. Lazio, Toscana ed Emilia Romagna gravitano attorno alla media.
Si avvicinano i mala tempora per gli amministratori locali del Mezzogiorno? Quella della Cgia di Mestre è, naturalmente, solo un'ipotesi, anche abbastanza semplificatoria, di un regime di federalismo fiscale tanto annunciato e quasi minacciato dalle forze che si apprestano a governare il paese. «Il rapporto non tiene conto - si legge - che una probabile riforma federalista dovrà prevedere un meccanismo perequativo (di riequilibrio, ndr) tra regioni ricche e regioni povere che attenuerà questi sacrifici. Per le regioni del Sud si possono trovare vie intermedie di parziale riduzione delle spese e di limitati aumenti delle tasse. Anche se appare evidente che per gli amministratori locali meridionali la strada del federalismo fiscale sarà lastricata da forti tagli alla spesa corrente». Detto dagli artigiani di Mestre sembra quasi un «ciao ciao» con la manina, come se dicessero «fino adesso abbiamo tirato noi la carretta...»

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