CULTURA

Il presente sulle onde di un pensiero critico

Postcoloniale
CURCIO ANNA

È il mare il protagonista dell'ultimo lavoro di Iain Chambers Le molte voci del Mediterraneo (Raffaello Cortina Editore, euro 19.50). Il mare «della profondità ambigua» e «turbolenta», le cui onde avvicinano ciò che è distante. Terra e Mare, è noto, sono ordinamenti spaziali antitetici: compatta ed omogenea l'una, diversificato e policentrico l'altro. Dimora di appartenenze nazionali la prima, testimone della «pretenziosità delle logiche territoriali e dei pregiudizi culturali» il secondo. Il mare, sede labile della conoscenza storica, può farsi angolo visuale per una lettura critica del presente e della storia.
Leggere l'Europa osservandola dal mare è dunque il progetto del testo. Non più «lago d'Europa» come nel progetto coloniale tra '800 e '900, il Mediterraneo di Chambers travalica i confini e lascia emergere, attraverso i secoli, una fitta rete di comunicazioni storiche e culturali tra l'Atlantico e l'Asia centrale, e verso sud in India, in Africa e alle porte del Pacifico. L'Europa moderna del primato della whiteness lascia il posto a un Mediterraneo eclettico e molteplice, rovesciando i «requisiti angusti del nazionalismo e dell'identità moderni».
Barriera e cerniera tra l'Europa e il suo Altro, sede di incontri e di correnti, il Mediterraneo pone interrogativi irrisolti. Stratificato nelle pieghe della storia, disegna geografie fluide e instabili che interrompono la lettura lineare del tempo. Il Mediterraneo, così provincializzato da Chambers, si fa sede della critica postcoloniale. Una lettura del presente instabile e volubile che ci consegna gli itinerari non autorizzati e passaggi illeciti, punti di resistenza e di rifiuto «che continuamente ci gettano altrove», che mettono a critica i giudizi ereditati.
Tuttavia, il Mediterraneo non è l'Atlantico nero descritto da Paul Gilroy, e le sue rotte oggi come ieri non sono il Middle Passage, per quanto Chambers ne accenni il paragone. Eppure, attraverso i passaggi e gli attraversamenti, nei varchi illeciti dei muri simbolici e materiali che lo stato-nazione al culmine della sua debolezza erige sui suoi confini, nelle città, dentro il mercato del lavoro e nello spazio della cittadinanza, nel Mediterraneo postcoloniale identità, appartenenza e nuovi confini della cittadinanza vengono non solo fissati, ma anche ecceduti. «Altre» mappe prendono così forma, rovesciando l'immagine chiusa e disciplinata di un Mediterraneo visto dal nord. Nel testo, le «altre» mappe si dipanano attraverso la musica, l'arte, i romanzi, il cinema, i resoconti storici e la cronaca contemporanea. Sono storie sovrapposte le une alle altre, in una narrazione minuziosa, attenta a «dettagli apparentemente marginali».
In una lettura talora non priva di entusiasmo romantico, Chambers si sofferma inoltre su Napoli e descrive uno spazio eterogeneo, irregolare, non pianificato. Illustra i passaggi incompiuti e le molte e dissonanti voci che l'attraversano e l'hanno attraversata. Si sofferma sulle discontinuità per rovesciare l'ortodossia localista e la tradizione folcloristica di «pizza, sole e mandolino». È una Napoli ambivalente, che intrattiene un rapporto complesso con la modernità, e si dibatte tra tradizione e cambiamento, tra «oriente» e «occidente», tra splendore e decadenza - come l'architettura barocca testimonia. Da una parte «i manierismi ossessivi di un orgoglio locale acritico», che Chambers mette efficacemente a critica; una produzione trionfalistica di appartenenza identitaria vista come rovesciamento di un «senso di inferiorità». Dall'altra lo spazio per creare un nuovo mondo di regole, una riflessività sociale, politica e culturale irriducibile all'assimilazione e all'omologazione delle pratiche identitarie. I «ferventi monoteismi» della terra da una parte, la fluidità trasformatrice del mare dall'altra.
L'ombra mortifera del vulcano, emblema della terra, proietta su Napoli un senso di finitezza, richiama le appartenenze ancorandosi alla tradizione. Ma il mare tutto intorno è testimone del transito. Le tradizioni si fanno «zattere di traduzione», le appartenenze provvisorie. Si tratta solo di capire, tra terra e mare, dove posizionare lo sguardo.

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