INTERNAZIONALE

La fiaccola orfana di Maradona

Dopo Buenos Aires la Tanzania. Cio conferma: tappa in Tibet, che resta off limits
PIERANNI SIMONE,

La fiaccola è passata a Buenos Aires ed è ora in volo verso la Tanzania. Nella capitale argentina più di 5 mila persone ne hanno garantito la sicurezza, lungo i 14 chilometri di percorso. La notizia clou è stata l'assenza di Maradona, che avrebbe dovuto percorrere, fiaccola alla mano, la prima tratta della tappa argentina. Gli sarebbe piaciuto, ha detto, ma è in Messico, impegnato in altro. Fiaccola iper protetta, custodita in località segreta nella notte argentina e transitata di fronte ai luoghi simbolo di Buenos Aires, tra grandi manovre anti contestatori. Tutto è filato liscio, mentre una marcia alternativa è stata organizzata dai seguaci del movimento cinese Falun Gong, bandito in Cina. «Non abbiamo in programma alcuna azione diretta, ma non siamo l'unico gruppo che protesta contro le Olimpiadi di Pechino», ha detto un loro rappresentante, Martin Bermudez.
Nel giorno che probabilmente segna la fine di questo primo tour de force per fiaccola e Cina, arriva anche la conferma di Rogge, presidente del Cio: a giugno la fiamma passerà da Lhasa, in Tibet, come fortemente voluto dal governo cinese. Rogge non ha lesinato elogi per il lavoro svolto dal Bocog, il comitato cinese organizzatore di Pechino 2008, «eccellente», ed è ritornato sui discorsi inerenti la libertà di stampa e l'attenzione ai diritti umani. Ha invitato la Cina a rispettare gli «impegni morali» assunti nel 2001 al momento dell'assegnazione dei Giochi. Sul fronte dei media non tutto pare andare per il verso giusto, al di là di inviti a raccomandazioni: contrariamente a quanto annunciato in precedenza, ovvero una riapertura a cominciare dal primo maggio, ieri il governo cinese ha invece specificato che il Tibet sarà ancora a lungo off limits per gli stranieri. «Questioni di sicurezza», dietro le quali potrebbero nascondersi le tante problematiche incontrate dai cinesi nel venire a capo della rivolta tibetana. Il segretario di stato americano Condoleezza Rice, al riguardo, ha chiesto esplicitamente «trasparenza» alla Cina, proprio mentre Bush confermava la sua presenza alla cerimonia di apertura di Pechino, in agosto.
La torcia in compenso va e la sensazione è che per la Cina il difficile sia momentaneamente superato. Il governo cinese ieri ha anche avuto modo di lanciare un altro monito agli Stati Uniti e alla risoluzione sul Tibet, partorita giorni fa dalla camera dei rappresentanti, che distorcerebbe «in modo flagrante la storia e la realtà del Tibet». La portavoce del ministero degli Esteri cinese, Jiang Yu, non ha usato eufemismi: si sarebbe trattato di «una rude interferenza negli affari interni della Cina ed ha gravemente ferito i sentimenti del popolo cinese. La Cina è fortemente indignata e contraria a questa risoluzione».
Futuro e prossime tappe: dopo l'Australia, anche il Giappone specifica di non volere sul proprio territorio i paramilitari cinesi che accompagnano la fiaccola. Sulle forze speciali cinesi già contestati a Londra e Parigi, il Washington Post ha fatto un ritratto a tinte fosche: si tratta «dell'unità di protezione della sacra fiamma dei Giochi olimpici di Pechino», composta da volontari provenienti dalla Polizia Armata del Popolo. I custodi della fiaccola appartengono allo stesso corpo usato per la recente repressione delle proteste in Tibet e nelle province vicine. Gli articoli sulla cerimonia del giuramento dei custodi della fiaccola, lo scorso agosto, sarebbero rimasti a lungo on line. Da qualche giorno è impossibile scovarli su Internet.

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