VISIONI

Cinque in condotta, galleria di strani tipi comici

DEL SETTE LUCIANO,

Ci avete fatto caso? Da qualche anno, in Italia, si ride sempre di meno. Magari ci si riesce ancora a divertire, ma il gusto della risata, il piacere di raccontare o sentirsi raccontare una barzelletta degna di tale nome (a cominciare da quelle ormai estinte sui carabinieri), sta svanendo. Vale anche per il mondo dello spettacolo, dove il mestiere del comico intelligente è pratica il più delle volte oscurata e messa in minoranza dalle tante volgarità televisive e da sipari che si spalancano su doppi sensi e qualunquismo imperante. E allora, sedersi in una poltrona di teatro per ascoltare e vedere Cinque in condotta, il nuovo spettacolo dei Virtuosi di San Martino, e ridere, ha il piacevole sapore della sorpresa.
I Virtuosi: quattordici anni di esistenza artistica, nata a Napoli e maturata attraverso altrettanti spettacoli portati in giro per la penisola; due dischi di cui l'ultimo, Carogne (Bideri/Lucky Planets) annunciava nel suo spirito corrosivo, nelle sue storie impregnate di ironia e amarezza, nella sfilata di personaggi come il punkabbestia di So'tribbale, la galleria politica e sociologica proposta da Cinque in condotta. I Virtuosi: vale a dire Roberto Del Gaudio, attore, cantante, autore dei testi; Federico Olding, violoncello e compositore delle musiche; Vittorio Ricciardi, flauto traverso; Dario Vannini, chitarra classica; Antonio Gambardella, violino. Ci farete caso, seduti in sala, per esempio alcuni giorni fa nello Spazio Teatro dell'Auditorium della Musica a Roma: con i Virtuosi si ride, e molto, travolti da una forma di comicità raffinata e «nera» che riporta ai gloriosi anni '70 dei Gufi milanesi, con le loro canzoni (ma forse la categoria è impropria) che sbeffeggiavano malasanità, bigottismo, politici; che mettevano in musica i cimiteri come luoghi dove amoreggiare e i sagrati delle chiese come comoda soluzione per abbandonare figli illegittimi; che dicevano di no in musica all'assurdità di morire facendo il presidente dell'America o per un sorpasso storto. Ebbene, questo si ritrova, attualizzato, riproposto in chiave di assoluta originalità, caricato di tutte le implicazioni della storia italiana attuale, nello spettacolo dei Virtuosi.
Si ride, ma poi, subito, viene da pensare che dietro la risata si possa nascondere ben altro; che, senza farne un dramma, la galleria dei personaggi messi in scena da Del Gaudio e quartetto sia anche occasione per riflettere. Diciannove sipari si spalancano sul cantante che si esibisce purché lo paghino bene, alludendo neppure tanto sottilmente ai musicisti cosiddetti «impegnati»; sulla veterofemminista, sempre alla vana ricerca di sesso; sul barone universitario narcisista che distribuisce voti con avarizia o dovizia, comunque colme di vanagloria; su Peppino di Bari commerciante di burrata, figlio di Peppino di Capri e di Nicola di Bari, che intona un'esilarante Nun è peccate in rima con gli strascinate, pasta tipica pugliese; su L'errore di Adolf, dove un ebreo sostiene che Hitler avrebbe dovuto praticare la Shoah nei confronti dei napoletani; sul crudelissimo Lo zecchino di piombo, richiamo al melenso festival infantile, dove un bambino si ostina a saltare sulle mine antiuomo fino a ridursi a un tronco umano. Capolavoro di satira politica usata con un'arma da taglio sottile è 'O liberista 'nammurato, canzone «di giacca» che parte con note napoletane e poi scivola sullo spartito di O mia bela madunina a chiarire di chi sta cantando. Quando gli strumenti tacciono, Del Gaudio dà voce a Rosa Quota, assessora che finanzia installazioni di arte concettuale a costi iperbolici come i trulli di Alberobello ripieni di burrata; oppure affida ironia e veleno alla mimica facciale in Studio n.1, accompagnandosi soltanto con il brusio delle maracas. Siparietti corali di apertura o di intermezzo, pensati in chiave stralunata ma di perfetta coerenza con lo spirito dello spettacolo ed eseguiti con una bravura da applausi, sono, ad esempio, Che sarà, celebre canzone sanremese anni '60 di Stevie Wonder, parodiata nei testi e in forma di coro alpino; La storia di uno di noi, richiami a Paolo Conte; La verità, dove entra in gioco la hit Nessuno mi può giudicare della Caselli, ma con accenti ecclesiastici.
Risultato? Il pubblico da sold out dell'Auditorium è uscito con la certezza che la risata intelligente non è morta, che coniugare parole e musica possa trasformarsi in uno spettacolo sfuggente alla definizione di cabaret eppure vicino a questo genere nel senso più nobile. I Virtuosi saranno di nuovo a Roma il 6 maggio con Napoli sopra e sotto all'Auditorium. Cinque in condotta è in scena al Teatro Instabile di Napoli il sabato e la domenica fino a maggio. Info: www.virtuosidisanmartino.it

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