INTERNAZIONALE

E il popolo no war torna in piazza

RUSSO SPENA GIACOMO

«No basi, no spese, no missioni di guerra», urlano i manifestanti «armati» di bandiere e striscioni. Non reggono il paragone con il grande movimento no-war ricordato come la «seconda superpotenza mondiale» ma hanno battuto un colpo. «Ce n'est qu'un debut» in vista della manifestazione nazionale contro il rifinanziamento delle spese militari e per il ritiro di «tutte» le truppe che si terrà salvo sorprese il primo marzo: «Quella sì, sarà grande».
Il Patto permanente contro la guerra, un'alleanza di reti e organizzazioni, si è mobilitato ieri «contro i luoghi di guerra sui territori, a partire da quelli dove le lotte sociali hanno già individuato obiettivi da smilitarizzare». In connessione con il Forum Sociale Mondiale 2008 che per quest'anno non ha indetto il «canonico» incontro centrale tra «le resistenze planetarie» ma il Global day of Action: azioni locali contro la guerra, il liberismo, il razzismo e il patriarcato. «Oggi è una tappa importantissima per lo sviluppo delle realtà antiliberiste - afferma Piero Bernocchi, leader dei Cobas - Si è costituito un movimento diffuso di mobilitazione che non ha strutture e zone del mondo prevalenti». E poi continua il sindacalista «è stata data centralità al tema della guerra».
Numerosi i luoghi in cui si sono organizzati presidi, banchetti, azioni, happening contro i dispositivi militari: dalle basi militari di Sigonella e Vicenza passando per i siti di assemblaggio dei nuovi armamenti, le caserme e i simboli (ambasciate, consolati e ministeri) coinvolti nella «guerra permanente». Sono quei pacifisti che lo scorso 9 giugno hanno dato il «benvenuto» a Bush e che ora denunciano ai quattro venti la «politica militaristica» del governo Prodi.
«La guerra è ovunque, impone le sue regole alla società attraverso derive securitarie e razzismi», afferma Bartolo Mancuso del movimento romano Action che così spiega l'azione fatta la mattina a Roma contro una caserma in dismissione: «Abbiamo bloccato il traffico stradale lì davanti per protesta perché la costruzione di una politica di pace viene anche da nuova urbanistica».
Nel pomeriggio nella capitale si sono susseguiti altri due presidi: uno al ministero della Difesa e l'altro all'ambasciata Usa. Anche a Firenze ci sono state più azioni, con i centri sociali protagonisti la mattina con un corteo che di fronte al consolato statunitense ha registrato un lancio di frattaglie di carne. Si sfilava anche per dire no alla repressione: lunedì arriva la sentenza per devastazione e saccheggio a 13 persone per gli «scontri» del 1999 sotto l'ambasciata Usa. Era il tempo dei bombardamenti in Jugoslavia. Nel pomeriggio hanno bissato Arci toscana, Pax Christi, Mani Tese e Prc (presente anche la mattina) prima con un happening a piazza della Signoria e poi calando una bandiera della pace di 20 metri da Ponte Vecchio.
In questa giornata contro i luoghi di guerra non potevano rimanere fermi i No-Dal Molin. «Costa, ora dimettiti»: in un clima da «cacerolazo» argentino, è questo il messaggio che il Presidio Permanente contro la nuova base Usa a Vicenza ha lanciato all'indirizzo del Commissario governativo Paolo Costa. «Ormai non rappresenta più nessuno - spiegano dal Presidio - abbiamo resistito più di Prodi, resisteremo più di lui».
Oltre 350 persone hanno suonato le proprie pentole davanti all'ingresso dell'area residenziale che ospita i soldati Usa e le loro famiglie, chiamata, con involontaria ironia, «Villaggio della Pace». «Vogliamo far sentire - ha spiegato Cinzia Bottene - che il clima è cambiato: l'ospitalità che ha contraddistinto questi 40 anni di presenza americana a Vicenza si è prosciugata».

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