CULTURA

La giustizia globale corre sul binario dell'innovazione

LEMAN YPI LEA

«Circa 18 milioni di esseri umani uccisi da malattie che possiamo prevenire, curare o trattare. Questo equivale a 50000 morti evitabili al giorno, un terzo di tutto il numero di morti umane. Altre centinaia di milioni sono condannate a morte a causa di queste malattie. Il fattore causale più importante che incide su questa distribuzione è la povertà. Quasi tutte le morti evitabili accadono in paesi poveri, tra gli abitanti più poveri di questi paesi». Così scrive Thomas Pogge - professore di filosofia alla Yale University, allievo ed erede teorico di John Rawls - nella seconda edizione di uno dei bestseller accademici degli ultimi anni: «Povertà globale e diritti umani» (World Poverty and Human Rights, di prossima uscita per Polity Press). Tra i più importanti esponenti di un rinnovato cosmopolitismo, una bussola che dovrebbe orientare la riforma delle istituzioni globali che garantiscano a tutti gli esseri umani diritti sociali universali, Thomas Pogge è ora alla guida di un progetto che denuncia l'attuale normativa internazionale sui brevetti farmaceutici perché subalterna agli interessi delle multinazionali farmaceutiche e dei governi dei paesi più ricchi. Lo abbiamo incontrato all'Australian National University, uno dei centri universitari coinvolti in Patent2, il progetto portato avanti da Pogge che prova a piegare la gestione monopolistica globale dei brevetti farmaceutici alle necessità mediche dei poveri del mondo.
Professor Pogge, perché un filosofo liberale si preoccupa di innovazione farmaceutica?
La recente globalizzazione del regime monopolistico dei brevetti ha modificato profondamente i meccanismi di innovazione farmaceutica in un modo che priva le persone della libertà di produrre, vendere e comprare nuovi farmaci a prezzi di mercato. Le attuali normative sono infatti una manna per i ricchi e le imprese farmaceutiche perché possono vendere i loro prodotti a prezzi più alti. Ma per i poveri non c'è alcun vantaggio corrispondente, visto che vengono privati della loro libertà al solo fine di incentivare la produzione di farmaci a cui la maggioranza della popolazione mondiale non ha accesso.
Qual è il ruolo delle multinazionali nell'imporre accordi di commercio sfavorevoli per i poveri?
La globalizzazione del monopolio dei brevetti avvenuta con gli accordi Trips (Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights) del 1994, che erano una parte del trattato Wto, è stata sostenuta dai governi dei paesi più ricchi, i quali subivano le pressioni delle aziende che facevano il grosso dei loro profitti dal commercio della proprietà intellettuale in ambito di software, innovazione farmaceutica, commercio agricolo. Tuttavia queste aziende non sono le uniche responsabili per l'imposizione di accordi di commercio ingiusti verso i poveri del mondo. Infatti, i cittadini dei paesi ricchi sono stati troppo facilmente persuasi che quello che è buono per le loro imprese è buono anche per loro. Certo questo è quello che molti economisti ci dicono. Ma che gli economisti giustifichino oggi la condotta dei ricchi oggi non è più sorprendente di quello che facevano i teologi nei tempi andati.
Cosa ne pensa dell'iniziativa di paesi come la Cina, il Brasile e l'India che stanno tentando di riformare l'attuale regime dei Trips per lasciare ai governi nazionali la decisione di violare le norme sui brevetti in casi di emergenze sanitarie e sociali?
Sulla carta questa riforma fa già parte dell'accordo Trips. L'articolo 31 consente ai governi, attraverso le licenze obbligatorie, di violare i brevetti al fine di facilitare l'accesso degli stati che rilasciano tali licenze a un'invenzione. Nel 2001, questa autorizzazione è stata ribadita e ampliata all'interno della Dichiarazione di Doha del Wto su Trips e sanità pubblica. Il problema è che gli stati ricchi e potenti minacciano, sviliscono e puniscono qualsiasi paese povero che di fatto utilizzi queste eccezioni. Quindi, ciò che è consentito sulla carta, è quasi inutile, in realtà.
Gli stati affluenti si oppongono alle licenze obbligatorie, perché temono che i prezzi bassi dei farmaci nei paesi poveri minaccerebbero il mantenimento di prezzi elevati nei paesi ricchi e quindi comprometterebbero anche i profitti delle imprese farmaceutiche e gli incentivi all'innovazione. Questa paura è ovviamente esagerata, perché il riconoscimento del dirittto di accesso ai farmaci non pregiudica certo la capacità delle imprese farmaceutiche di innovare i loro farmaci, come invece sostengono le grandi multinazionali.
Va inoltre ricordato che le licenze obbligatorie possono portare grandi benefici ai poveri che soffrono di malattie che sono comuni anche tra i ricchi. E tuttavia gran parte dei poveri soffre di malattie che sono rare nei paesi benestanti. Le aziende farmaceutiche trascurano queste malattie e le licenze obbligatorie rischiano di aumentare tale negligenza.
Qual'è l'impatto dell'attuale regime di brevetti sulla ricerca medica e il tipo di medicine che vengono prodotte?
I brevetti incentivano la ricerca medica su disturbi e malattie che i ricchi sono disposti a pagare molto pur di evitare. I ricercatori hanno quindi molti più incentivi di mercato a lavorare sull'acne, la caduta dei capelli o l'impotenza che su malattie come il morbillo, la malaria, la tubercolosi, oppure altre malattie tropicali debilitanti. Secondo una stima citata di frequente, il 90 per cento della ricerca farmaceutica si concentra su disagi medici che contano solo per il 10 per cento del peso globale delle malattie (Global Burden of Disease, Gdb).
Quali sono, secondo lei, i limiti delle iniziative esistenti per risolvere la questione dell'accesso alle medicine per i poveri del mondo?
Ci sono molte agenzie governative, inter-governative e Ong che si preoccupano della salute dei poveri. In alcuni casi riescono anche a produrre qualche risultato. Ma i loro sforzi non sono ben coordinati e finiscono per essere inefficienti dal punto di vista dell'azione collettiva. Quello che conta è che si tratta di tentativi che lasciano il problema fondamentale irrisolto. Il problema fondamentale è che l'innovazione farmaceutica nel settore privato è guidata dai profitti che le aziende fanno vendendo medicine brevettate. Poiché la ricerca è diretta in questo modo, le aziende non possono includere i poveri nei loro sforzi senza danneggiare la loro posizione economica nel mercato, per esempio riducendo il tipo di disagio da cui i loro profitti dipendono oppure perdendo clienti ricchi che trovano il modo di comprare a poco prezzo le medicine destinate ai poveri. Il regime esistente ha anche un effetto negativo sul tipo di ricerca che viene fatta: per esempio incentiva lo sviluppo di farmaci che portano al sollievo dei sintomi di una determinata malattia anziché a sviluppare vaccini o farmaci preventivi.
Quali sono le principali linee guida del vostro progetto?
Per primo cosa va riaffarmato il fatto che abbiamo bisogno di una soluzione a lungo termine. Per questo occorre incoraggiare l'innovazione farmaceutica che riesca a fare a meno delle barriere che separano i poveri dai produttori di farmaci generici. Allo stesso tempo va riaffermato un principio di eguaglianza in base al quale i poveri hanno lo stesso diritto dei ricchi nel veder riconosciuti i loro bisogni dalla ricerca medica. La nostra proposta punta allo sviluppo di un secondo binario che gli innovatori farmaceutici potrebbero usare nella ricerca. Al momento, gli innovatori hanno solo un'alternativa per finanziare le spese di ricerca e sviluppo: devono trarre profitti dai prodotti costosi che il loro monopolio gli permette di vendere. Noi gli daremmo una seconda opzione: quella che chiamiamo «Binario-2». Ogni innovatore può permettere la produzione e vendita aperta di un prodotto in cambio di incentivi finanziari, garantiti da trattati internazionali, proporzionati all'impatto medico globale di questo farmaco. Con questa opzione, farmaci per malattie che danneggiano soprattutto i poveri potrebbero diventare l'obiettivo di ricerche che promettono profitti. Scegliendo questa opzione per la produzione di un particolare farmaco, gli innovatori lo renderebbero immediatamente disponibile per la produzione «competitiva». Dal loro canto, i pazienti trarrebbero beneficio dall'ulteriore incentivo che l'azienda che inventa il farmaco ha di collaborare con altri produttori generici e di migliorare la qualità del servizio sanitario nei paesi poveri.
Quali sono le difficoltà principali incontrate nello sviluppo del progetto?
Ci sono difficoltà tecniche, ma anche politiche. Dal punto di vista tecnico occorre specificare il tipo di meccanismo di compenso per chi viene coinvolto nel «Binario-2»: definire una metrica per il Gbd, determinare il compenso monetario per unità di riduzione del Gbd, identificare regole per distribuire il Gbd tra le varie malattie, trovare modi di ricavare dati sufficienti per poter misurare ex post il peso di ogni malattia e per poter fare proiezioni plausibili da qui a qualche anno, identificare regole per attribuire specifiche riduzioni di Gbd agli innovatori che partecipano al «Binario-2», pensare ai meccanismi per combattere la frode e la corruzione, e anche alle regole particolari per innovazioni incrementali e per la fase di prova. Un altro aspetto del progetto riguarda l'identificazione dell'organo responsabile per l'amministrazione del sistema di ricompense e le procedure di mediazione per la soluzione di conflitti legati all'interpretazione e applicazione delle regole.
Un terzo aspetto ha a che fare con le regole del trattato concernenti lo schema di finanziamento e le penalità per chi trae vantaggio dallo schema senza condividerne i costi. Abbiamo un gruppo internazionale ed interdisciplinare - sostenuto dall'«Australian Research Council», la fondazione Bupa e la Commissione Europea - che sta lavorando per definire soluzioni praticabili per questi problemi. Il nostro lavoro viene documentato, quasi in tempo reale, su www.patent2.org.
Le difficoltà politiche riguardano invece la definizione del progetto in modo tale da renderlo minimamente accettabile alle parti in causa, per poi ottenere l'interesse loro e dei media. Ci sono molto discorsi sui terribili e persistenti deficit sanitari nei paesi poveri sebbene questi si possano interamente evitare. E ci sono anche molte dichiarazioni, gruppi di studio, conferenze, summit, iniziative, progetti e richiami all'azione. Tutto questo rumore di idee rende difficile risolvere il problema alle sue radici: perché è difficile venire ascoltati e perché molti sono convinti che il problema sia già stato risolto.
L'equità non è la valuta di riferimento dell'economia del libero mercato. Perché le aziende dovrebbero interessarsi di giustizia sociale e impatto medico globale?
Immagino che lei intenda riferirsi a quale ragione commerciale avrebbero di sostenere il progetto che ho descritto. Una ragione è che «Binario-2» dà loro un'opzione di investimento in più. Gli innovatori non sono costretti a mettere tutta la loro innovazione su questo binario, ma sono liberi di farlo se vogliono. Questo è un vantaggio per loro. Alcuni progetti di investimento che non rendono sul «Binario-1» potrebbero rendere sul «Binario-2» ed altri che rendono sul «Binario-1» potrebbero rendere ancora di più sul «Binario-2». Il risultato è che le compagnie farmaceutiche e bio-tecnologiche potrebbero avere più opportunità per fare ricerca di quelle che hanno ora.
Una seconda ragione è che le compagnie farmaceutiche stanno fronteggiando una seria crisi di immagine pubblica che potrebbe essere politicamente molto costosa per loro. Nell'attuale regime si trovano di fronte e scelte imbarazzanti tra profitto e decenza morale. Se una compagnia vende i prodotti al prezzo massimo di profitto garantito dal monopolio verrà accusata di causare malattie e morti dovute al mancato accesso a farmaci che si potrebbero altrimenti comprare a costi marginali. Se l'azienda decide di cambiare atteggiamento e rendere il farmaco meno costoso, allora il mercato la punisce e i suoi profitti cadono o perché anche i ricchi trovano il modo di avere accesso ai farmaci meno costosi prodotti per i poveri o perché questo riduce la malattia in questione e quindi anche la domanda di mercato per un determinato farmaco.
Questo dilemma nasce non tanto dal modo in cui le aziende fanno profitti ma dal modo in cui noi regolamentiamo il loro operato. Se noi Cambiamo le regole secondo le quale operano, noi salviamo le compagnie farmaceutiche da questo dilemma, garantendo l'accesso a farmaci avanzati a competitivi prezzi di mercato e al tempo stesso premiando l'innovazione in proporzione alla sua capacità di incidere positivamente sulla salute pubblica globale.

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