POLITICA & SOCIETÀ

Preghiere e scuse, per i preti pedofili

DE CILLIS MIMMO

Il Vaticano torna a pensare alle vittime dei preti pedofili. E lo fa annunciando una campagna mondiale di preghiera, lanciata dal cardinale Claudio Hummes, capo del dicastero vaticano che sovrintende al clero e che si occupa, appunto, delle problematiche di formazione e gestione dei quattrocentomila sacerdoti esistenti al mondo.
Si tratta di un segnale forte, che testimonia quanto il problema delle mancanze e delle deficienze dei preti sia sempre in cima nei dossier che passano sui tavoli dei sacri palazzi. E che lascia intuire come papa Ratzinger non abbia dimenticato «tutta la sporcizia esistente nella chiesa», come ebbe a dire lui stesso nella celebrazione di una via crucis: occorre dunque agire in riparazione dei peccati e soprattutto «per le vittime delle gravi situazioni di condotta morale e sessuale di una piccolissima parte del clero», precisa la Santa sede, insistendo sul fatto che il problema non è poi così diffuso.
Ma tant'è: la chiesa ammette che deve far qualcosa, che la formazione dei seminaristi è per molti versi superficiale o insufficiente, che i vescovi devono avere il coraggio di cacciare subito dal gregge le pecore nere. La ricetta ora trovata, certo, si presta a sollevare alcune perplessità, ma è in linea, d'altronde, con l'impostazione che Benedetto XVI ha dato al suo pontificato: più preghiera e meno politica, più fede in curia e meno burocrazia, più azioni spirituali e minore attenzione agli eventi mondani. Date queste linee direttrici, la soluzione di una «campagna mondiale di adorazione eucaristica» è sembrata l'ovvia soluzione per tentare di risollevare una situazione, quella delle condizioni del clero, che sta dando alla chiesa universale parecchi grattacapi.
La preghiera servirà, nelle intenzioni della Santa sede, a coinvolgere i fedeli, preti, religiosi, suore, laici nel farsi carico della vita dei loro sacerdoti, persone «da venerare, da amare, da rispettare, che spendono tutta la vita, pur con i loro limiti, per Dio e il prossimo, grandissimi benefattori dell'umanità», ha detto il cardinale Hummes spiegando l'iniziativa all'Osservatore Romano. Naturalmente, ha riconosciuto il cardinale, «è molto diverso essere sacerdote oggi in America Latina, in Africa o in Europa. Le differenze sono grandi tra il nord e il sud del mondo. In Europa, dove ci sono società più avanzate, c'è una cultura molto fredda, una cultura troppo laicista. In altre regioni invece c'è uno spirito religioso più forte. Ma ovunque sono necessari molti sacrifici da parte dei sacerdoti». Allora il popolo di Dio, dicono in Vaticano, deve aiutarli e sostenerli, non giudicarli o disprezzarli.
L'approccio di Ratzinger è oggi una sorta di «sistema preventivo», un tentativo di prevenire invece che curare, che contiene il desiderio di avere un clero irreprensibile, dedito al bene, operoso e dunque «santo». Il punto è, però, quando questi «grandissimi benefattori» si macchiano di orrendi crimini come gli abusi sessuali su minori: allora sono le vittime a gridare giustizia al cospetto di Dio e degli uomini. E la chiesa, a tutti i livelli, dovrebbe mostrarsi più collaborativa e mai complice, come è avvenuto in clamorosi casi che negli anni scorsi hanno sconvolto gli Stati Uniti e altre nazioni del mondo. Pregare sì, allora, ma non coprire i colpevoli. E rammentare che la riparazione non può essere solo spirituale, come ricordano i risarcimenti che le vittime dei preti pedofili hanno dovuto richiedere con lunghi e penosi procedimenti legali.
Oggi il Vaticano ha chiesto ai vescovi di tutto il mondo di «promuovere nelle diocesi veri e propri cenacoli in cui consacrati e laici si dedichino alla preghiera sotto forma di adorazione eucaristica continuata» proprio a scopo di purificazione e per domandare a Dio di «suscitare un numero sufficiente di sante vocazioni al sacerdozio». Con la stessa intensità ci si aspetta che si facciano rispettare le indicazioni che prevedono l'istruttoria, la consegna e la riduzione allo stato laicale dei preti deviati e si adottino misure concrete per arginare il fenomeno. Lo stesso cardinale Hummes, assunto l'incarico in Vaticano, provò a ricordare che «il celibato dei preti non è un dogma ma una norma disciplinare», aprendo uno spiraglio in tal senso. Fu subito rintuzzato e costretto a ritrattare. Proprio a lui è toccato sbrigare le pratiche dei rapporti del Vaticano con i gruppi tradizionalisti (come i Lefevriani) e confrontarsi con le istanze fortemente conservatrici esistenti in curia.
Ma tanti lontani da Roma, all'interno dello stesso popolo dei fedeli, credono che una ventata di novità e di modernità farebbe bene alla vita della chiesa. Guardare al futuro piuttosto che al passato. Aprirsi alle esigenze pastorali invece che restare arroccati su posizioni intransigenti. Chissà se con la «sporcizia» Ratzinger saprà anche gettare via vecchiume e pezzi da museo.
*Lettera22

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