Bankitalia fa i conti in tasca agli italiani e al governo: la situazione non è buona. Un dato su tutti: nel 2005 quasi il 16% degli italiani viveva sotto la soglia di povertà, un cittadino su sei, 8,89 milioni di persone. Un'enormità.
Lo studio si basa su un campione Istat di circa 28 mila famiglie, e prende in esame la spesa equivalente nel 2005. Per intenderci, l'ammontare della spesa dei singoli nuclei familiari, resa equivalente per il numero diverso dei componenti attraverso coefficienti, e quindi raffrontata.
Ne emerge che una fetta consistente della popolazione italiana non spende a sufficienza per l'acquisto dei beni e dei servizi di prima necessità. Questo però accade in misura assai superiore al sud Italia rispetto al centro e al nord. Nel mezzogiorno, infatti, si concentra il 68,6% della popolazione povera (più di due su 3); povertà che dal 1997 al 2005 è andata crescendo al meridione, mentre scendeva al centro e al nord. Sempre al sud si concentra, secondo lo studio, il 73,5% della differenza complessiva tra il reddito delle famiglie povere e quello corrispondente alla soglia di povertà. In due parole: al sud sono più poveri dei poveri del nord.
Giovani: il «gap» dell'istruzione
Questa condizione, secondo lo studio Bankitalia, interessa inoltre molto più i giovani che gli anziani. Diminuiscono infatti i «vecchi» poveri al nord, mentre peggiora al sud la situazione per i più giovani. E' questo un riflesso di quello che può considerarsi l'effetto dell'istruzione, o meglio della mancata istruzione, sul reddito e quindi sulle condizioni di vita. La differenza tra gli italiani poveri con appena un diploma di scuola elementare e quelli con una laurea, nella fascia d'età compresa tra i 25 e i 54 anni è di venti punti percentuali. Per il sud Italia la situazione è dunque un circolo vizioso: più povere sono le condizioni di vita più basso è il livello di istruzione (cioè si inizia a lavorare il più presto possibile per avere subito un reddito). Ma, senza una specializzazione o un diploma almeno di scuola superiore, il livello dei salari sarà sempre, in media, più basso, così come la qualità della vita. Ancora i numeri lo dimostrano: in media oltre i due terzi delle persone povere, nella fascia d'età compresa tra i 25 e i 54 anni, hanno al massimo un diploma di scuola superiore.
Quale scenario per il 2007?
Dopo una simile serie di dati, possiamo solo immaginare quale quadro dipingerà Bankitalia sul livello di povertà nel 2007. Forse con un nero uniforme, considerando la crisi dei subprime e i tassi dei mutui indicizzati schizzati alle stelle. Dopo il petrolio a 100 dollari, con serie possibilità che arrivi a 150, la benzina a 1 euro e 40 centesimi a litro e i rincari delle materie prime che hanno reso proibitivi anche l'acquisto di pasta e pane .
La ricetta di Bankitalia
Quasi in concomitanza con i dati sul livello di povertà, un altro studio (per la verità uscito a novembre), sempre della banca centrale italiana, propone una «ricetta» per rilanciare i consumi e far calare l'inflazione in uno dei periodi più caldi per le spese degli italiani. La soluzione è quella di tagliare le tasse sul reddito da lavoro, in particolare attraverso l'Irpef, per un importo pari all'1% del Pil. In questo modo «i consumi salirebbero di quasi mezzo punto in tre mesi e l'inflazione - si legge nel rapporto - registrerebbe una riduzione di 0,59 punti nel trimestre, per poi attestarsi su un effetto calo di 0,54 punti dopo un anno».
Un taglio della tassazione sugli stipendi (attraverso l'abbassamento delle aliquote) avrebbe dunque un maggiore effetto positivo sull'economia rispetto ad un aumento della spesa pubblica. Ci sarebbe infatti, dopo tre mesi, un effetto positivo sul prodotto (+0,39%), sui consumi (+0,45%) e sugli investimenti (+0,28%). Un argomento in più a favore dei sindacati, da portare al tavolo di trattative col governo per la riqualificazione dei salari, la prossima settimana. Senonché, in questo computo, cioè nelle aliquote da tagliare, sono annoverate anche le rendite da capitale (capital gain) come le plusvalenze azionarie o obbligazionarie, che invece il governo, e in particolare la sinistra, ha in programma di aumentare per favorire la «redistribuzione del reddito».