Multinazionali e pluriculturali, Trieste e Gorizia non sono più, da oggi, città di confine. Ufficialmente, il confine tra Italia e Slovenia sparisce il 22 dicembre; in realtà le barriere sono cadute alla mezzanotte di ieri, 20 dicembre. Dopo di che c'è stato, all'ex valico di Fernetti, un evento che segna la storia di queste terre, la caduta delle frontiere. Fino all'alba si sono alternate bande, gruppi folcloristici, alpini dell'una e dell'altra montagna, sindaci e rappresentanti di regioni, proiezione di immagini storiche sul confine che fu. Come in una fiaba ha attraversato per l'ultima volta la cancellata linea di demarcazione una carrozza trainata da cavalli di Lipizza con a bordo quattro grandi atlete: Tanga Romana e Margherita Granbassi per l'Italia, Mateja Kosovel e Simona Premrl per la Slovenia, simbolo di tutte le donne che su questi confini soffrirono per favorire la convivenza.
E domani all'ex valico di Rabuiese, la cerimonia vedrà autorità dell'Unione Europea (Frattini e Barroso), della Slovenia (il premier Janez Jansa), per l'Italia i ministri Amato e Bonino e le autorità del Friuli-Venezia Giulia. Con l'«Inno alla gioia» per un'epoca che si chiude e un'altra che comincia. Questo epocale cambiamento è stato in realtà avviato in tempi lontani da uomini di buona volontà d'ambo le parti, quale l'ex sindaco sloveno di San Dorlingo-Dolina italiana, Edwin Svab, che coraggiosamente inventò in tempi amari la manifestazione «Confini aperti» sui valichi minori. Ieri ha detto: «Oggi come allora l'apertura dei confini viaggia con le gambe e con la testa delle persone».
L'apertura della frontiera italo-slovena alla libera circolazione delle persone e delle merci precede di pochi giorni (dal 1º gennaio 2008) l'estensione della libera circolazione nell'aria di Schengen a tutti gli otto paesi dell'Europa centro-orientale entrati ell'Ue nel maggio del 2004. Con la cancellazione della vecchia frontiera italo slovena il confine dell'Europa comunitaria si è spostato al confine tra Slovenia e Croazia che taglia l'Istria in due parti. E' la nuova linea di Schengen che dovrebbe sparire a sua volta nel 2011.
Le sbarre del vecchio confine erano già state smantellate in più punti la scorsa settimana; speriamo che cadranno anche dai cavalli, nell'immaginario collettivo. C'è da augurarsi, soprattutto, che spariscano dalla prassi politica di certe forze della destra post-fascista di Trieste e italiana in genere. Speriamo che con la frontiera caduta al confine orientale d'Italia, si sia chiusa un'epoca che, a dirla con lo scrittore triestino Claudio Magris, ha visto divisi per un certo periodo non soltanto due Stati ma il mondo. Ci si augura che Trieste, troppo a lungo arroccata sulla linea dello scontro tra Est ed Ovest - quella che per circa 60 anni è stata una linea strumentalizzata dai circoli nazionalistici, antidemocratici e antislavi più feroci - finirà di soffrire il «male di frontiera» che l'ha portata a storcere il collo per guardare indietro, nutrendosi di un passato avvelenato da fascismi, irredentismo e guerre, invece di proiettarle verso il futuro. Nell'area, non ci illudiamo. Restano sospese le domande: la destra della destra resterà arroccata sulla «identità italiana», disprezzando la minoranza slovena, facendo ancora dell'area triestina un'arena di scontri nazionalistici, identificando il mito della madrepatria italiana, con l'antislavismo? Oppure proverranno le forze democratiche che vogliono fare di Trieste e Gorizia i centri fecondi di incontro dei popoli nel cuore d'Europa? Perché il confine oggi caduto resterà in piedi nelle menti fino a quando prevarranno le forze guidate da coloro che, disertando la festa di ieri, hanno inscenato lugubri cortei a Trieste e dintorni.
I confini abbattuti la scorsa notte erano il frutto di una guerra di aggressione scatenata nell'aprile del 1941, conclusasi virtualmente nell'estate del 1943, una guerra peraltro preparata da oltre 20 anni di fascismo di frontiera nelle terre passate all'Italia dopo la prima guerra mondiale. Quel confine più volte spostato o modificato (1945, 1947, 1954) è stato causa di infinite sofferenze, di odi, di rancori, chiusure, rotture, lutti, dispersioni di popolazione. Tutto, ora sembra finito; ma c'è molto da lavorare per la pace.
Intanto c'è da sperare che si affretti l'ingresso della Croazia nell'Ue, affinché l'Adriatico cessi di produrre contrasti fra le due sponde. Lo spostamento del confine dell'Ue, infatti, non ha risolto tutti i problemi, anzi, ne ha aperto qualcuno spinoso e grave. La minoranza italiana nell'ex Jugoslavia, 30-35mila persone dall'Istria al Quarnaro, si vede ora non più divisa fra Slovenia e Croazia ma fra Croazia e l'Europa comunitaria. Il confine rigido di Schengen è, per i nostri connazionali rimasti in Croazia, un dramma e un'umiliazione. Fin dai tempi di Tito gli bastavano i lasciapassare e le carte d'identità, ora dovranno esibire i passaporti o dei «cartoncini» detti «entry and exite stamping card», e sottostare a lunghi e umilianti controlli. I nostri connazionali sono discriminati anche in tutta una serie di settori, essendo gli uni comunitari e gli altri extracomunitari. C'è poi il nodo della Slovenia che da oltre 15 anni si rifiuta di costruire un'autostrada che si allacci alla rete croata che parte da Fiume in direzione di Trieste. Così, oltre al regime di Schengen, anche la cattiva viabilità provocherà ingorghi e intasamenti al confine sloveno-croato, un vero collo di bottiglia. Già adesso la frattura fra italiani in Slovenia e italiani in Croazia ha prodotto enormi difficoltà nella salvaguardia delle scuole, delle istituzioni culturali unitarie della minoranza, e messo in pericolo la sua unitarietà istro-guarnerina. Il futuro potrebbe essere ancora più nero. Anche per le contese fra Lubiana e Zagabria in fatto di confini marittimi e terrestri i cui focolai più pericolosi sono in Istria, sul fiume Dragogna e nel golfo di Pirano.