Selezionato per inaugurare il Noir in festival di Courmayeur, Hitman si avventura subito nelle sale. I titoli di testa raccontano l'antefatto: bimbi allevati per diventare killer, sulle note dell'Ave Maria di Schubert, con tanto di codice a barre tatuato dietro la nuca. Poi da adulti vanno per il mondo a svolgere il loro sporco lavoro di macchine per uccidere e in quanto macchine devono essere virginali come le note sentite in allevamento, il sesso è bandito. Eccoci quindi a seguire le avventure di 47, niente nome, quasi fosse una targa. Impegnato a stendere il leader russo. Lavoro eseguito, ma gli dicono che non è così, anzi a questo punto cercano di stenderlo. Inutile dire che 47 non ha alcuna intenzione di trasformarsi in morto, parlante o meno. Così con a fianco una pupona prosperosa che cerca di risvegliare i suoi istinti, per ritrovarsi addormentata dal narcotico che lui sfodera all'occorrenza, piuttosto che cedere al sesso, il giovane dal cranio rasato stende una gran quantità di persone.
Tratto dal videogioco omonimo, Hitman punta tutto sul ritmo vertiginoso e sul taglio inconsueto dell'inquadratura che ricalca in molte situazioni quello del gioco stesso. E la regia di Xavier Gens regge la sfida, anche grazie a Timothy Olyphant (il cattivo dell'ultimo Die Hard) che indossa un grugno inossidabile da assassino da allevamento. Accanto a lui Olga Kurylenko si muove da seduttrice che non comprende perché mai quell'uomo la porti a zonzo per l'Europa senza né ucciderla, né scoparla, «nessuno mi ha mai trattato con tanta indifferenza», gli dice un po' stizzita. Lui non si cura più di tanto della faccenda, anche perché ha il suo bel daffare. Come in occasione di un incontro tra ex compagni di collegio, da Tarantino esasperato. Sono in cinque, ognuno con due cannoni spianati. L'escamotage consiste nell'invito a una morte dignitosa, che l'arma da fuoco non offre. Eccoli allora far cadere le pistole e sfoderare dal nulla lunghe armi da taglio che permettono nuove coreografie. Perché poi di questo si tratta. La vicenda politica, con i sosia, i poliziotti corrotti, le rivalità con l'Interpol sono solo la cornice del racconto che si muove per successive schermate con nuovi scontri sempre più ardui dato il numero di nemici da affrontare. Film di confine quindi che prende il cinema come puro pretesto, come hanno fatto Vin Diesel e Luc Besson (tra i produttori) per vedere quanto i percorsi di azione visionaria possano trasformarsi in sinergie che macinano nuove entrate. Quindi trama prosciugata, morti in quantità, ragazza scosciata pur in clima gelido e ritmo ossessivo. Ma l'aspetto più bizzarro consiste nel fatto che si rimane a guardare ipnotizzati, come di fronte ai telefilm in onda di notte, che non intendono sviluppare grandi storie, solo offrire un po' di intrattenimento.