CAPITALE & LAVORO

La nuova questione delle tasse, il lavoro e distribuzione dei redditi

BOSCO BRUNO, ROMANO ROBERTO

Nella moderna società le quantità di risorse finanziarie raccolte dal sistema fiscale per finanziarie la spesa pubblica è significativa, e cresce all'aumentare della complessità del sistema economico. Le imposte possono essere vissute con particolare insofferenza dai cittadini, ma occorrerebbe riflettere sul loro ruolo nel finanziarie servizi che diversamente il mercato non potrebbe garantire. Da sempre il fisco in generale e il livello della pressione fiscale sono terreno di scontro politico e di politica economica al punto che molti opinion makers pensano che i problemi del paese possono essere risolti attraverso degli interventi (mirati) sul fisco. La riduzione delle tasse sul sistema delle imprese favorirebbe la competitività; la rimodulazione delle aliquote Ire determinerebbe l'aumento del reddito disponibile delle famiglie; la riduzione della pressione fiscale sul lavoro dipendente dovrebbe aumentare stipendi e salari, che come documentato dall'ottimo studio dell'Ires-Cgil sono al palo da troppo tempo. Sostanzialmente il fisco, meglio ancora la riduzione del prelievo fiscale su alcuni soggetti, risolverebbe i problemi del Paese.
Il recente passato è pieno di queste misure: riduzione dell'Irap di 5 punti; rimodulazione delle detrazioni-deduzioni Ire; ulteriore intervento su Ires e Irap, forfettone e Ici sulla prima casa. L'ultima proposta, in ordine di tempo, è quella di ridurre la pressione fiscale sul lavoro dipendente per aumentare i salari (15 miliardi in tre anni). Indiscutibilmente la riduzione delle tasse (sul lavoro) come asse delle politiche redistributive sembra un'affermazione di buon senso oltre che di «sinistra», ma nasconde una visione dell'intervento pubblico complessivo non del tutto condivisibile.
Le proposte di Cgil-Cisl-Uil concentrano l'attenzione sulla necessità di «incrementare il potere di acquisto delle retribuzioni attraverso il fisco, i contratti, le tariffe, i prezzi, la casa». In particolare si sottolinea la necessità di ridurre le tasse ai lavoratori dipendenti e pensionati e di ottenere una radicale riforma dell'irpef, anche attraverso una riduzione delle tasse sugli aumenti contrattuali. Se l'aumento degli stipendi è una priorità riconosciuta da tutti (il reddito da lavoro dipendente è passato dal 43,7% del Pil nel 1993 al 40,7% del 2004, mentre in Europa rimane costantemente prossimo al 50%), occorre aprire una discussione sull'opportunità di fare pagare parte di questi aumenti alla fiscalità generale e non ai profitti. L'eccesso di disuguaglianze origina sul mercato ed è frutto anche dell'attuale struttura produttiva. E' su questi terreni che si dovrebbe prioritariamente intervenire. Fanno parte dei salari intesi in senso ampio anche le tariffe, gli affitti, i mutui, i ticket, e la spesa pubblica per beni e servizi alle persone. Le aliquote delle imposte sui redditi sono solo una delle tessere del mosaico. In attesa di interventi di ampia portata sull'intero mosaico è comprensibile che, per realismo (di breve periodo, pero!) si propongano interventi sui singoli pezzi e si cerchi di inserire anche i lavoratori dipendenti nell'elenco dei beneficiari delle misure di riduzione fiscale.
Tuttavia, se la politica di riduzione della pressione fiscale sui redditi da lavoro deve proprio essere adottata, occorre che essa almeno si accompagni ad una ridistribuzione della pressione fiscale non alla sua pura e semplice riduzione. Essa deve essere almeno in parte compensata da un adeguamento delle aliquote sulle rendite finanziarie e dalla destinazione al finanziamento della riduzione del gettito IRE di una parte del recupero di base imponibile e di gettito ottenuti attraverso gli studi di settore. Misure che generano una pura e semplice riduzione del prelievo fiscale totale fanno in apparenza l'interesse dei lavoratori.
Per passare alla tutela sostanziale di questi interessi occorre compensare le riduzioni fiscali con aumenti più o meno equivalenti al fine di mantenere invariata la capacità di spesa sociale complessiva del settore pubblico: i lavoratori guadagnano o perdono attraverso l'azione pubblica in virtù del saldo netto tra gettito fiscale che sopportano e spesa pubblica che ricevono, non solo in relazione alle aliquote dei propri scaglioni di reddito. Nella combinazione tra imposte e spese sta ancora la chiave delle politiche distributive pubbliche.

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