Robert Harris è in Italia per promuovere il suo romanzo Ghostwriter edito da Mondadori. Un romanzo, quindi fiction, pervasa però di politica. Perché il Ghostwriter protagonista è l'uomo chiamato a stendere il memoriale di un grande potente della terra. Ha licenza di fare domande imbarazzanti, il problema sta nel fatto che alla fine la faccenda si complica perché si scoprono altarini che mettono in discussione il memoriale. Il premier dismesso, protagonista del romanzo si chiama Adam Lang, ma è assolutamente trasparente che si tratta di Tony Blair.
Una copia ciancicatissima dell'edizione inglese del suo romanzo in mano, Harris risponde cortese alle domande, fresco di ripetuti incontri con Roman Polanski col quale sta scrivendo la sceneggiatura.
Quando nasce l'idea?
L'idea mi è venuta quindici anni fa, quando avevo appena terminato il mio primo romanzo, Fatherland. Avevo questa idea del ghostwriter che agisce da un punto di vista privato del leader mondiale. E il dilemma nasce dal fatto di scrivere una biografia oppure scrivere la verità. L'idea iniziale era quella di un testo teatrale, una commedia, non un romanzo. Con tre personaggi: il ghost, il leader e la moglie. Nella mia testa doveva essere una storia dark, un ambiente isolato dove si lavora per redarre il memoriale di un leader che un tempo era un uomo importante. Il ghost ha licenza di fare domande che altri non potrebbero fare. L'idea mi è frullata in testa, cotta e ricotta per anni, ma non sapevo dove ambientarlo, chi fosse il protagonista. Poi un paio d'anni fa ascoltando la radio, la Bbc, sentii una cosa curiosa a proposito di Blair: secondo quanto veniva detto avrebbe potuto essere incriminato dalla corte dell'Aja per crimini di guerra. Quindi per non essere estradato avrebbe potuto riparare negli Stati Uniti.
Dietro il nome fittizio del protagonista si legge molto chiaramente che si tratta di Blair.
Il personaggio ha le caratteristiche di Blair e la copertina dell'edizione italiana esplicita la cosa in maniera evidente, al punto che i miei avvocati si sono preoccupati. Ma non ho ricevuto lettere dagli avvocati di Blair, anche se quando il libro è uscito in Gran Bretagna è stato un sasso nello stagno. Io ho conosciuto Blair molto bene. L'ho incontrato nel '92, ho viaggiato sempre con lui sino al '97 all'elezione a primo ministro, ero con lui quando ricevette le congratulazioni di Clinton. Non è da tutti avere avuto l'onore di questa possibilità. Per questo sono grato a Blair. Non c'è spirito di vendetta, ho solo odiato la politica che ha condotto insieme a Bush. Se Gore avesse vinto nel 2000 (come di fatto aveva vinto) non saremmo arrivati a questo punto. Invece Blair si è adattato a vendere meglio le storielle di George W. sull'Iraq. Blair è lui stesso un ghost, orecchia quel che viene detto alla Casa Bianca e poi vende al meglio lo stesso concetto. Ormai anche la Gran Bretagna è un paese fantasmatico, ridotto alla 51esiuma stella dell'unione. Il problema è che la tecnologia sopravanza i politici. Una volta facevano il loro discorso o scrivevano un libro. Ora Blair gira truccato, non solo quando va in uno studio televisivo, subisce un continuo assalto mediatico e quindici minuti dopo quel che ha detto è in ogni parte del mondo.
Con Polanski come è andata?
Ho mandato una copia a Polanski per amicizia. Tre giorni dopo invece mi ha chiamato dicendo "ma è fantastico, questo è il nuovo Chandler". Così sono andato a Parigi e abbiamo cominciato a lavorare sulla sceneggiatura. Ma dobbiamo tagliare molto.