POLITICA & SOCIETÀ

Mastella: «Il capo dei capi» va fermata

SBARIGIA GIULIA,

La furia di Clemente Mastella contro la fiction tv è tornata ad abbattersi sui palinsesti. «Il Capo dei capi andrebbe sospesa. Manca quell'aspetto educativo che rimanda ai valori di una società sana», il rischio, dice con piglio pedagogico, è l'emulazione. Il ministro usciva dal tribunale di Gela dopo l'incontro con i vertici della magistratura, dietro di lui 5 giovani di Caltanissetta lo seguivano con in mano lo striscione imbavagliati come De Magistris.
La sparata sul prodotto di Canale 5 arriva a pochi giorni dal rinvio a data da destinarsi - predisposto dal guardasigilli e accordato con eccesso di zelo dalla Rai - della Vita rubata, il film tv di Raiuno, che già dal titolo strappa le lacrime, con quella storia che tutti ci riguarda sull'assassinio di Graziella Campagna, la ragazzina di 17 anni ammazzata dalla mafia l'8 dicembre dell'85. Una vergogna, per il fratello di Graziella, mentre il sindaco di Corleone, Antonino Iannazzo (An), ha accolto le richieste di alcuni concittadini per organizzare oggi una marcia di protesta, alla quale parteciperà anche Daniele Liotti, il poliziotto anti-mafia del Capo dei capi.
Il periodo televisivo scotta, perché si tratta della zona di garanzia, che vuol dire gara d'ascolti all'ennesima potenza, si gioca tutta dal 3 settembre al 2 dicembre, per rassicurare gli inserzionisti pubblicitari sugli investimenti futuri. Non c'è programma, fiction, show, in onda durante questo arco di tempo, che possa esimersi dalla polemica trascinando così l'indotto tv. Chissà se Mastella se n'è reso conto.
La vita rubata era l'appuntamento previsto per questa sera su Raiuno, i produttori della Albatross Entertainment avevano anche provato a farne un film per il grande schermo, ma Gaetano Blandini, direttore generale per il cinema del ministero per i Beni e le Attività culturali, non ha erogato il finanziamento. Ci ha pensato il capo di Rai fiction Agostino Saccà. Incastrato tra lo show in un colpo solo di Celentano e il giovedì di Roberto Benigni, il film tv doveva sparare le ultime cartucce del periodo di garanzia autunnale, ma è stato sospeso perché «potrebbe turbare la serenità dei giudici della Corte d'Assise di Appello che dal 13 dicembre si riuniranno in udienza per il processo che riguarda l'assassinio di Graziella Campagna». Il capo dei capi, la serie di Canale 5 dedicata alla vita di Totò Riina, si conclude invece giovedì in prima serata e nessuno a Cologno Monzese è intenzionato a dare retta al ministro. Pietro Valsecchi, il produttore, gli manda un messaggio: «Ma Mastella ha mai visto la fiction di cui parla? Come fa a parlare di un inno alla mafia quando tutta la trama del film ricorda anno dopo anno, stagione dopo stagione, tutte le vittime di Cosa Nostra e, in particolare, dei corleonesi di Totò Riina, a cominciare dal sindacalista Placido Rizzotto per passare al generale Dalla Chiesa ai poliziotti Giuliano, Cassara e Montana ai tanti magistrati caduti a Palermo fino alle infami stragi del 1992», poi conclude con una stoccata all'indirizzo di viale Mazzini: «Per fortuna esiste una tv libera: Canale 5». Deve far male ai due consiglieri Rai, Nino Rizzo Nervo e Sandro Curzi, che ieri si sono rivolti al direttore generale Cappon chiedendogli di tornare sui suoi passi. Il primo gli ha scritto una lettera: «Ti dico subito con franchezza che la decisione non mi sembra condivisibile. Ne avrei parlato nel consiglio di amministrazione previsto per giovedì che, però, come sai è stato rinviato. Credo che non vi sia alcun ragionevole motivo che impedisca la messa in onda di quella fiction». Il più anziano invoca l'«autonomia operativa dell'azienda, che non può automaticamente uniformarsi a richieste o pretese che pur provengano da autorità quali il presidente della Corte di Appello di Messina e il ministro di giustizia». Tutti si domandano cosa la tv mostrare.
Tutti, in primis il produttore Alessandro Jacchia della Albatross. «Se non domani, quando? - dice - Dopo l'udienza? Dopo la sentenza? Dopo l'avvenuto deposito della sentenza? Dopo il ricorso in cassazione? Oppure, ancora, dopo il deposito della sentenza definitiva? Quale è il criterio? C'è in ballo un principio delicato, molto più vasto del caso specifico, che riguarda la libertà di raccontare il nostro paese». «In un paese dove i processi mediatici vengono messi in piazza a inchiesta non conclusa, può un prodotto di fiction, su un fatto di 22 anni fa, essere sospeso?», lascia aperta la domanda.

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