VISIONI

Sarabanda malefica in una stanza

«1408» del regista svedese Mikael Håfström
CATACCHIO ANTONELLO,

1408 è un film spiazzante. Si presenta come horror. Ma per un'ora non mantiene quella promessa. Offrendo paradossalmente molto di più di quanto poi avvenga nel finale ridondante in ossequio al genere. Perché per una buona parte del racconto ci troviamo a seguire le vicende di John Cusack, scrittore di talento che ha però capito come giri il fumo, quindi se n'è fatta una ragione e campa scrivendo guide di luoghi maledetti, tra noiose presentazioni in libreria con dedica apposita e ricerca spasmodica di nuovi posti da indagare. Sia chiaro, lui è scettico, mica ci crede, anzi il suo lavoro consiste nello smascherare, però deve vedere di persona. E si intriga quando gli segnalano la stanza 1408 del Dolphine hotel di New York. Telefona per prenotarla ma viene dissuaso. Deve fare intervenire gli avvocati della casa editrice. Al suo arrivo viene indirizzato dal direttore, Samuel L. Jackson, che insiste per farlo desistere. Lo blandisce, gli offre prelibatezze e regali, ma quando racconta degli oltre 50 ospiti morti in quella stanza commette un autogoal irreparabile. Purtroppo il film non può concludersi con Cusack che prende possesso dello spazio malefico, registra le sue prime impressioni, e tutto gli appare assolutamente normale. Una stanza come tante altre. E allora comincia la malefica sarabanda di effetti speciali non più all'altezza delle aspettative che si sono create. Un peccato perché il regista svedese Mikael Håfström aveva sino a quel momento diretto e gestito con talento l'operazione, tratta da Stephen King, che poi viene triturata nel déjà vu. Che ha comunque i suoi fan, visto che negli Usa il film ha macinato 70 milioni di dollari al botteghino. Dollaro svalutato, ma risultato straordinario per un film tutto sommato a basso costo.

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