SOGNANDO GENOVA

Sui manifestanti l'incubo della richiesta del pm: 225 anni per «i 25 potenziali capri espiatori»

PIERANNI SIMONE,Genova

Belin, servirà tutta questa gente per gli imputati di Genova e Cosenza? E' una delle tante domande del corteo di ieri nel capoluogo ligure. Una manifestazione che, sopra ogni altra cosa, spera di poter dare un segnale: sotto processo ci sono 25 persone a Genova e 13 a Cosenza, potenziali capri espiatori del popolo che scese in piazza nel 2001. La Storia siamo noi, frase simbolo e di apertura della mobilitazione, va in una duplice direzione: da un lato quella di affermare una volontà a reagire alle clamorose richieste di condanna della procura genovese e a quelle che potrebbero arrivare da Cosenza a dicembre, dall'altro tentare di limitare la riscrittura storica degli eventi di sei anni fa che giunge dalle aule di tribunale.
I due procedimenti sono ormai alla fase finale. A Genova dopo centinaia di udienze, i pm hanno effettuato la loro requisitoria ancorata ad alcuni punti cardine: non ci fu alcuna caccia all'uomo da parte delle forze dell'ordine, i manifestanti hanno messo a repentaglio l'ordine pubblico, devastando e saccheggiando Genova. Risultato: 225 anni di richiesta di pena. L'articolo 419 (devastazione e saccheggio) prevede pene dagli 8 ai 15 anni: è un reato usato raramente nell'Italia repubblicana e pensato dai legislatori per situazioni di tumulti, insurrezioni popolari e quel genere di abusi che potevano compiersi nel periodo immediatamente successivo alla guerra. Fatti considerati gravissimi, tanto che, nel caso di devastazione e saccheggio compiuto con armi e contro lo Stato, nell'ordinamento italiano era prevista la pena di morte, poi tramutata in ergastolo. Prima del 2001 era stato utilizzato solo in relazione a eventi che avevano avuto come protagonisti frange di ultras. Dal 2001 è assurto a reato principe per tutto quanto può accadere in piazza: a Genova, a Torino, a Milano. Tale reato presuppone la mancanza dell'ordine pubblico e la compartecipazione morale ai fatti: non importa che una persona sia vista colpire o lanciare qualcosa. Importa che sia vicino a chi sta compiendo questo atto. Traslato sul processo ai 25 manifestanti, questo significa alcune cose ben precise: dalle informazioni acquisite durante le udienze e attraverso i testi ascoltati in aula è emersa una preparazione all'evento da parte delle forze dell'ordine e un loro comportamento per le strade genovesi, tale da ritenere che l'ordine pubblico sia stato messo in discussione proprio da polizia e carabinieri. In secondo luogo - come è stato sottolineato anche durante il convegno tenutosi ieri mattina a Genova - se vale il processo di compartecipazione psichica, sotto processo non dovrebbero esserci solo 25 persone, bensì tutti i 300 mila che parteciparono a quelle giornate.
Oltre al danno la beffa: l'avvocatura di stato ha infatti chiesto, come risarcimento, 2 milioni e mezzo di euro. Per lo Stato italiano 25 persone - e non le cariche e i pestaggi per strada, l'irruzione alla Diaz e le violenze nella caserma di Bolzaneto - avrebbero messo a repentaglio l'immagine del paese.
Una richiesta che collega in maniera forte il processo ai 25, con quello in corso a Cosenza. Nelle aule cosentine infatti è tornato l'avvocato di stato che già tempo fa fece le proprie richieste: 5 milioni di euro di danni all'immagine. In questo caso i responsabili sarebbero 13 persone sotto processo per associazione sovversiva ai fini del sovvertimento economico dello stato e della devastazione di Napoli e Genova: a dicembre il pm Fiordalisi effettuerà le proprie richieste di pena.
Il processo di Cosenza, considerato una sorta di processo bis dei 25, si basa interamente sul teorema della procura cosentina, unica in Italia a ritenere fondate le accuse messe in piedi da Digos e Ros nei confronti del Sud Ribelle. A Cosenza il 31 gennaio è prevista la sentenza. A Genova a quel tempo la decisione dei giudici si saprà già. La speranza è che la massa di persone giunte ieri a Genova possa, quanto meno, tenere alta l'attenzione e sviluppare percorsi alternativi di narrazione storica dei fatti. Quanto ai giudici e alla decisione che dovranno prendere, il popolo di Genova con i suoi striscioni e le sue parole, è parso parafrasare le parole di Fabrizio De Andrè, poeta genovese: uomini e donne di tribunale, se fossi stato al vostro posto, ma al vostro posto non ci so stare.

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